Ucraina, alta tensione
e pure tanta confusione

Il primo articolo su una imminente invasione russa dell’Ucraina fu pubblicato dal Washington Post il 30 ottobre scorso. Sono quindi passati tre mesi e mezzo in cui è successo di tutto: la Russia ha varato una serie di imponenti e minacciose esercitazioni militari, i Paesi occidentali hanno fatto a gara nel rifornire l’Ucraina di armi e munizioni, Joe Biden e Vladimir Putin si sono parlati e riparlati, a Mosca sono arrivate molte missioni diplomatiche che non hanno prodotto esiti positivi (e qualche volta sono state un fiasco clamoroso, come quella della ministra degli Esteri inglese Liz Tuss), i due incontri del cosiddetto Formato Normandia (Russia, Ucraina, Germania e Francia) per rilanciare gli Accordi di Minsk si sono conclusi con un nulla di fatto.

Le uniche cose che procedono sono quelle legate alle forze armate, sia sul lato russo sia su quello occidentale, ed è quindi inevitabile che il livello dell’allarme continui a crescere. Per quanto possa sembrare strano, però, l’aspetto più preoccupante è un altro: la totale confusione in cui sembrano immersi i protagonisti. Al punto che ieri il presidente ucraino Zelensky si è rivolto ai giornalisti e ha detto loro, con amarissima ironia: «Se avete notizie precise sull’invasione russa siete pregati di comunicarcele».

Il primo paradosso è proprio questo: mentre gli Usa ogni giorno fanno crescere la tensione, i vertici dello Stato ucraino, dal Presidente a tutti i ministri, fanno a gara per ridimensionare il pericolo. Ovvio il perché: il lungo allarme sta aprendo falle drammatiche nel fragilissimo naviglio dell’economia ucraina: la moneta si svaluta, gli investitori fuggono (ritirati già 12 miliardi di dollari, pare) i prezzi aumentano, chi può lascia il Paese. Questo dimostra che, alla radice, il vero contrasto non è tra Russia e Ucraina (basta pensare che il commercio tra i due Paesi nel 2021 è cresciuto del 23%) e nemmeno tra Russia e Nato ma tra Russia e Usa. Che con pochi scrupoli sfogano i contrasti sul terzo incomodo, l’Ucraina appunto.

Non sembrano avere idee chiare, però, nemmeno Biden e Putin. Il presidente Usa fa un passo avanti e uno indietro, arma l’Ucraina ma dice che i soldati americani non combatteranno, minaccia sanzioni e intanto tratta. Aleggia sul suo capo il precedente di George Bush, che nel 2008 promise ogni aiuto al presidente della Georgia Saakashvili, salvo poi abbandonarlo all’azione militare della Russia. Putin, per finire, si gioca molto, forse tutto. La sua richiesta fondamentale (stop all’allargamento verso Est della Nato) è stata respinta. Le trattative falliscono. Se il suo era un bluff, gli Usa lo stanno vedendo. Si avvicina il giorno in cui dovrà calare le carte, belle o brutte che siano.

E qui torniamo alla parola «invasione». Putin non si imbarcherà mai in un’impresa a tutto campo per arrivare fino a Kiev, non può permettersela. Potrebbe però tentare di occupare la regione di Kharkiv, appena al di là del confine, unirla al Donbass filorusso e magari spingersi a prendere il porto ucraino di Mariupol’, tagliando fuori l’Ucraina dai collegamenti marittimi e controllando circa il 15-20% del suo territorio. E poi stare a vedere. Nel 2014 (riannessione della Crimea e rivolta del Donbass) la reazione degli Usa fu modesta. Poi però arriverebbe il resto: sanzioni, turbative economiche, rottura di rapporti commerciali Davvero c’è qualcuno, a Mosca o a Washington, che vuole far rinascere il Muro in Europa e risuscitare la Guerra Fredda per questo?

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