Trump grazia il tacchino
Ma adesso rischia lui

E così, il grasso tacchino Corn (mais) se l’è cavata. Con uno dei suoi ultimi atti presidenziali, e nel rispetto delle tradizioni della Casa Bianca, Donald Trump ha concesso la grazia a uno degli innumerevoli tacchini che oggi, 26 novembre, Giorno del Ringraziamento, sono destinati a finire sulla tavola delle famiglie americane. A nessuno è sfuggita la peraltro facile metafora: il tacchino Trump troverà modo di ottenere una grazia anche per sé e per i suoi, in quest’America che, oltre a non avere pietà per gli sconfitti, mostra per il presidente uscente uno scherno e un disprezzo che non hanno precedenti? Il presidente Usa ha il potere di concedere la grazia, cosa che di solito avviene alla fine del mandato, a coloro che sono stati condannati per crimini puniti da una legge federale. Barack Obama, per fare l’esempio più recente, concesse la grazia a Chelsea Manning, il soldato (all’epoca dei fatti, perché poi divenne donna) che aveva passato a Wikileaks e a Julian Assange i documenti segreti a cui aveva avuto accesso nel suo lavoro di analista dell’esercito.

Ora Trump ha fatto altrettanto per Michael Flynn, l’ex generale che era diventato suo consigliere per la Sicurezza nazionale dopo essere stato (su nomina di Obama) capo dei servizi segreti delle forze armate. Consigliere di Trump, Flynn lo fu per soli 23 giorni. Nominato il 10 gennaio, fu licenziato il 13 febbraio. La sua colpa: aver incontrato l’ambasciatore russo a Washington il 29 gennaio, ovvero il giorno dopo che l’amministrazione uscente di Obama aveva varato una serie di misure per «punire» la Russia del cosiddetto Russiagate. Era un incontro pubblico, in un’occasione mondana, dal contenuto inopportuno ma non pericoloso. Flynn commise il grossolano errore di mentire agli investigatori e questo segnò la sua fine. Per dire: una sciocchezza, a confronto delle ombre che gravano su Joe Biden per lo scandalo del figlio super-pagato in Ucraina. Ma nel 2016 il clima era quello che sappiamo, e incontrare l’ambasciatore russo da nominato non ancora in carica fu una stupidaggine che a quel livello non è permessa. E infatti anche il troppo affabile ambasciatore russo, Sergey Kislyak, poco dopo fu richiamato a Mosca.

Ma Flynn, come si capisce, è un pesce piccolo. La vera domanda è: quanto rischia Donald Trump fuori dalla Casa Bianca? Studierà qualcosa per proteggere se stesso dalle grane (evasione fiscale, ostruzione della giustizia, violenza sessuale…) che, a torto o a ragione, pendono sul suo capo e che procuratori ambiziosi non vedono l’ora di trasformare in tanti bei processi? Joe Biden ha già detto di non avere intenzione di procedere contro Trump. Il presidente, però, anche quello nuovo, non può bloccare a piacimento la macchina della Giustizia. E poi, vatti a fidare di una Casa Bianca che, come già s’intuisce, sarà piena di fedelissimi della famiglia Clinton.

La vera soluzione, per Trump, sarebbe quella di dimettersi. Anche se per pochi giorni, gli subentrerebbe il fido vice Mike Pence che, nel breve periodo da presidente, potrebbe concedere a sua volta a Trump la grazia. C’è un precedente, e anche illustre. Quello di Richard Nixon che nel 1974, in seguito allo scandalo Watergate e per sottrarsi alla procedura di impeachment, diede le dimissioni. Subentrò il vice Gerald Ford, che un mese dopo concesse appunto il perdono presidenziale al suo ex capo. Nixon si ritirò a vita privata ma non andò mai sotto processo.

È questo che ha in mente Trump? Lo scopriremo presto, perché il calendario corre e il momento di passare la mano si avvicina. Senza beghe giudiziarie, Trump avrebbe le mani libere per contestare Biden nei prossimi anni. Ma l’impressione è che, una volta cambiato l’inquilino della Casa Bianca, saranno i repubblicani i primi a volersi liberare dell’ingombrantissimo uomo venuto dalla Tv che hanno supportato ma che, palesemente, non hanno mai amato.

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