Trascurare la follia provoca solo dolore

ITALIA. Quella dell’identificazione del presunto omicida di Sharon Verzeni è certamente una «buona» notizia da molti punti di vista. In primo luogo, perché spazza via le inutili speculazioni circolate da un mese a questa parte sulla vittima e sul contesto familiare che le ruotava attorno.

Poi, perché «consegna» ai familiari della giovane donna un colpevole su cui scaricare il senso di frustrazione e il grande dolore che lacera loro cuore e mente per la tragedia che li ha travolti, gettandoli nella disperazione più cupa. Una magra consolazione per la verità, ancor più difficile da accogliere per la totale assenza di un movente e per l’assurdità che avvolge l’intera vicenda. Infine, perché l’arresto del 31enne reo confesso placa quel senso di insicurezza e di mancanza di fiducia nelle istituzioni che da un paio di settimane cominciava a serpeggiare (ingiustamente e ingiustificatamente) tra la comunità di Terno e dei paesi dell’Isola. Le «buone» notizie finiscono qui. Ora resta da capire in quale contesto sia maturata la follia omicida del 31enne indagato per un reato così grave - aver spezzato brutalmente la vita di un essere umano - e senza nemmeno un perché, sempre ammesso che l’uccisione di una persona possa avere una giustificazione. Gli addetti ai lavori hanno già preso le distanze dall’ipotesi che il giovane finito in cella sia automaticamente un malato psichiatrico - «è presto per parlarne e così facendo si alimentano pregiudizi ingiustificati» - ma sembra difficile incasellare il delitto di Sharon tra i reati attribuibili alla criminalità che delinque, diciamo così, per professione. Una qual certa «mente criminale» il presunto omicida l’avrebbe anche fatta intravedere, tuttavia il sospetto che ci si trovi di fronte ad un gravissimo disturbo della personalità maturato in un ambito di disagio sociale sembra piuttosto fondato.

Ci sarebbe da stupirsi? Certamente no, e il perché lo dicono i numeri, facendo suonare un allarme che purtroppo viene sistematicamente ignorato da qualsiasi livello istituzionale, dal più piccolo al più grande, ormai da troppo tempo. Se ci si limita a consultare i soli dati delle prestazioni ambulatoriali del Dipartimento di Salute mentale e delle Dipendenze dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo (ma il trend è tale e quale in tutta la Lombardia e in gran parte del Paese) si scopre che il totale dei pazienti presi in carico è passato dai 4.397 del 2019 ai 5.315 del 2023, con un aumento del 20,9%. Me se si restringe il campo alla fascia di età compresa tra i 18 e i 25 anni, i malati presi in carico sono passati dai 127 del 2019 ai 675 dello scorso anno, con una crescita di oltre il 430%. Più contenuto - «solo» il 17,9% - l’aumento dei casi di uomini e donne compresi tra i 26 e i 64 anni di età. Oltre, fortunatamente, la statistica ci dice che il fenomeno segna una decrescita del 18,9%. Dai dati presentati recentemente da Fondazione Cariplo al termine di uno studio piuttosto corposo, emerge che in tutta la Lombardia agli accessi ai Pronto soccorso per disturbi psichiatrici (casi «gialli» e «rossi», non cosa da poco, dunque) sono aumentati del 61% dal 2016 al 2022, mentre quelli per i disturbi neurologici sono cresciuti del 24%. E così si va avanti da anni, almeno dal 2010, con un’accelerazione significativa dovuta alla pandemia da Covid, «grazie» alla quale sembra sia possibile stimare che negli ultimi quattordici anni l’incremento degli accessi a un Pronto soccorso sia almeno del 30%.

Secondo il Piano sociosanitario regionale lombardo, nel 2023, hanno ricevuto assistenza in un centro di salute mentale 142.102 adulti e 116.321 minori (nell’ambito della Neuropsichiatria infantile e dell’adolescenza): in tutto oltre 258mila persone che hanno avuto necessità di servizi operativi nella sfera psichiatrica. E stiamo parlando - si badi bene - di numeri certi, perché intercettati dai servizi sanitari presenti sul territorio, la cosiddetta punta di un iceberg le cui dimensioni di base non sono note, con tutte le incognite che ne conseguono.

Numeri e situazioni che giustificherebbero un investimento in termini di risorse ben più significativo del 3% del budget sanitario che Regione Lombardia assegna ai bisogni della Psichiatria, da sempre considerata la «Cenerentola» del Sistema sanitario, compreso quello nazionale. Servirebbero più operatori, più servizi e più comunità sul territorio, ma le risorse non lo consentono e presto - è solo una questione di mesi - la situazione peggiorerà ulteriormente. Entro la fine del 2025 le retribuzioni degli operatori del settore aumenteranno di una cifra compresa tra il 10 e il 13%, mettendo in ginocchio le comunità terapeutiche già oggi vicine al collasso nella gestione dei servizi necessari. La Lombardia - ma in generale l’intero Paese - paga anni di mancati adeguamenti tariffari. Da una parte aumentano i casi di disturbi psichiatrici e le domande di aiuto agli specialisti, dall’altra, paradossalmente, il numero degli psichiatri è in netto calo, tanto che alla fine del 2025 (e a partire dal 2022) almeno un migliaio usciranno dal sistema, tra pensionamenti e dimissioni, mentre i subentri saranno di gran lunga inferiori. E sul fronte dei fondi per la cura della salute mentale anche il confronto con gli altri Paesi europei è del tutto ìmpari e vergognoso, con l’Italia che occupa le parti più basse della classifica.

Le dotazioni (di uomini, di mezzi, di strutture) sono già diventate insufficienti rispetto all’obiettivo istituzionale di provvedere alle necessità sociosanitarie dei malati psichiatrici storicamente delegati alla responsabilità dei Servizi di Psichiatria del Ssn, cioè degli «psicotici». Se poi si volessero affrontare, come sarebbe opportuno e necessario, anche i bisogni di ordine sociosanitario espressi dall’area del disagio e del disadattamento sociale, dall’area cioè dei cosiddetti «disturbi della personalità», dovremmo triplicare gli investimenti. Senza quest’ultimi, restano solo le chiacchiere. Faremmo bene ad occuparcene, rimettendo così sotto controllo un’area di discomportamentalità che se lasciata a sé stessa produce fatti come quello di Terno, aumentando nel contempo i posti di lavoro e migliorando le condizioni di sicurezza/insicurezza della popolazione.

È ovvio e naturale che se il 31enne accusato dell’omicidio di Sharon Verzeni risulterà colpevole del reato ascrittogli dovrà pagarne le conseguenze, ma non serve mistificare il problema e l’urgenza di affrontarlo buttandola in politica (ma è questa la politica?), tirando in ballo nuovi e vecchi italiani, soprattutto se poco si è fatto e poco si continua a fare (pur avendone il potere) per i malati di casa nostra e per quelli che vengono «da fuori». Ed è tutto lì da vedere. «Anche la follia merita i suoi applausi» recita un lucidissimo verso di Alda Merini, ma non certo quelli che vengono dalla propaganda.

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