L'Editoriale
Martedì 22 Marzo 2022
Tra potenze è anche una guerra di nervi
Il commento La giornata di lunedì 21 marzo, in Ucraina, ha segnato l’agonia di Mariupol’. Il grande porto ucraino è fin dall’inizio tra gli obiettivi principali dell’invasione russa, per evidenti ragioni strategiche: è una delle infrastrutture fondamentali, conquistarlo significherebbe mutilare la già fragile economia del Paese invaso (che era già prima della guerra, con la Moldavia, il più povero d’Europa) e garantire alla Russia un dominio quasi totale del Mar Nero e del Mare di Azov. Già due giorni fa Oleksy Arestovich, portavoce del presidente Zelensky, aveva ammesso che l’esercito ucraino non aveva truppe sufficienti per tentare di spezzare l’assedio russo, riconoscendo così che per la caduta della città è solo questione di tempo.
Le residue forze ucraine resistono con coraggio. Ma per noi Mariupol’ è soprattutto una città che ancora contiene 130 mila civili e che sembra avviata sulla strada di Grozny, Falluja, Aleppo. Sono paragoni che suggestionano molti. Impropriamente, per tante ragioni. Ma il punto è che per l’ennesima volta l’ennesima guerra si combatte sulla pelle dei civili, siano essi usati come scudi da chi si difende in condizioni sempre più disperate, o siano invece trasformati in esempi di terrore da chi attacca con sempre maggiore ferocia.
Oggi, intanto, Volodymyr Zelensky interviene davanti al Parlamento italiano che, salvo poche e incomprensibili eccezioni, lo ascolterà con attenzione e partecipazione, come hanno già fatto i Parlamenti degli Usa, della Germania, di Israele, del Regno Unito. Purtroppo per lui, gli applausi dei parlamentari di mezzo mondo non hanno cambiato la sostanza: armi fin che ne vuole, denari molti, sanzioni contro la Russia in quantità infinita, ma i soldati ucraini devono combattere da soli. Intanto, l’Ucraina cambia, forse per sempre: come Mariupol’, anche le centrali nucleari, le miniere, i grandi hub industriali rischiano di essere conquistati o distrutti; milioni di profughi sono andati ad aggiungersi ai milioni di ucraini già emigrati in cerca di lavoro, e chissà se vorranno o potranno tornare; gli uomini sono al fronte e molti di loro sono già morti o moriranno. È impossibile che il Presidente non si ponga la domanda su che cosa resterà del suo Paese se la guerra andrà ancora avanti.
Forse proprio per questo Zelensky insiste su un incontro con Vladimir Putin, che forse proprio per questo lo rifiuta. Certo è che la guerra, che sta trasformando l’Europa, ha già trasformato Zelensky, diventato il leader che prima non era. Evitando di affrontare il campo di battaglia, i Paesi dell’Occidente hanno fatto di lui il loro campione, quasi santificando un Presidente che solo pochi giorni prima della guerra aveva un indice di gradimento molto basso (circa il 20%) presso gli ucraini, in un anno aveva chiuso d’imperio sette canali televisivi d’opposizione ed era riuscito a far processare per tradimento sia il filo-russo Viktor Medvedciuk, leader del primo partito di opposizione, sia l’ex presidente Petro Poroshenko, un nazionalista a tutta prova, capo del secondo partito di opposizione. Però nel momento del massimo pericolo l’Ucraina ha trovato in lui la guida di cui aveva assoluto bisogno. Da questo punto di vista Zelensky ha vinto alla grande il confronto con Putin. Basta pensare alle occhiaie, alla barba lunga e alla maglietta militare con cui trasmette, anche visivamente, il dramma di Kiev, e confrontarle con il raduno di stampo neanche vagamente sovietico in cui Putin è comparso come un leader lontano, più osannato che amato. Zelensky ha sfruttato la passata esperienza di produttore e attore televisivo, ma c’è ben altro oltre a questo: l’uomo ha affrontato la sfida che la vita e la Storia gli hanno proposto, ed è stato all’altezza.
Non ci sono buone notizie dal fronte, lo vediamo. Lo stesso Dmitrij Peskov, portavoce del Cremlino, ha detto che anche in caso di trattative non ci sarà alcuna tregua. E non ci sono buone notizie nemmeno dal resto del mondo. Sale purtroppo la tensione tra Usa e Cina. Washington chiedeva a Pechino di abbandonare la Russia al suo destino e ha ottenuto poco o niente. Gli screzi delle ultime ore, dalle piccole minacce ai dispetti diplomatici, preludono a un vero confronto? Basta guardare l’andamento dei prezzi delle materie prime per capire che dalla tragedia ucraina potremmo finire in una tempesta perfetta di dimensioni globali.
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