Tra mini ripresa
e grandi riforme

Il primo trimestre dell’economia italiana è ancora segnato da molte ombre e poche luci. Ombre pesantissime sul piano sociale: la povertà assoluta è cresciuta nel 2020 al 7,7%, un milione di persone in più. Un macigno sul piano finanziario, con un debito al 160% che dipende totalmente dalla durata degli acquisti della Bce. Qualche timida speranza solo sul piano industriale e produttivo, che ha però il vantaggio di essere il motore potenziale della ripresa finanziaria e sociale. Il nuovo ministro dell’Economia ha stimato un +3% annuale del Pil per l’effetto che verrà dalle riforme richieste dall’Europa. È allora un segno molto positivo che il ministro della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta (un politico più veloce dei tecnici), abbia già presentato un progetto innovativo sul tema forse più strutturale di tutti. Crescerà l’attrattività di una burocrazia moderna per addetti più giovani e preparati.

Insieme ad un po’ di rimbalzo dovuto all’attenuarsi estivo della pandemia e poi dall’immunità di gregge, forse l’anno recupererà qualcosa di quell’ 8-9% portato via dal 2020. Se andrà bene, al 1° gennaio 2022, ci accontenteremo di aver ritrovato metà dello scarso dinamismo di cui già ci lamentavamo il 1° gennaio 2020. Meglio che niente, per un Paese travolto dall’effetto pandemico, proprio mentre ancora era sotto di un terzo rispetto alla botta precedente.

Ad alimentare questa mini ripresa, concorrerà la manifattura. L’industria ha registrato due piccoli rialzi consecutivi a dicembre e gennaio, superiori al preventivato. Nella rilevazione di novembre, eravamo a -1,4% mentre la Francia era a -0,9 e la Spagna a -0,6. Se il trend si consolida (le industrie stanno lavorando, non sono chiuse) possiamo insomma assomigliare di più alla Germania, che segnava già allora una crescita attorno all’1%. Le buone notizie peraltro, si fermano qui, anche perché i nostri mali erano presenti ben prima della pandemia. Negli ultimi 20 anni l’Italia ha perso il 18,4% rispetto al Pil dell’intera eurozona. Nel 2001 valevamo il 17,7% dell’Europa dell’euro, oggi siamo al 14,5% e il reddito pro-capite è crollato all’82,8% dell’Ue (eravamo 10 punti sopra) e al 67,6% di quello tedesco (come scritto da Giovanni Trovati su «Il 24Ore»).

Lo stesso Next generation non è fatto per guarire i mali attuali, se mai quelli strutturali, ma per definizione è proiettato al futuro. I miliardi sono tanti (pur in calo proprio per il diminuito peso del Pil italiano in Europa), ma alla fine sono in media 35 all’anno su una spesa pubblica di 870, come ricorda Carlo Cottarelli, chiamato a guidare un interessante raggruppamento del centro liberale, ultimo effetto dell’«inutile» crisi di gennaio, che ha portato Draghi, spaccato i 5 Stelle, affossato la segreteria Pd, cambiato linea alla Lega, e ora avvicinato caratterini difficili come Bonino e Calenda. Accenniamo a questo risvolto politico perché la richiesta di Bruxelles di un’Italia che faccia le riforme è un impegno tutto politico. Abbiamo detto della Pubblica amministrazione, ma la giustizia, specie dopo il caso Palamara, è un nodo non più rinviabile. Efficienza e merito, non giustizialismo.

Quanto a ambiente e digitale, sono stati messi nelle mani migliori possibili. Ma c’è poi tutto il resto, lasciato sulla scrivania dal precedente Governo: dalle crisi aziendali, tutte costose, al blocco dei dossier più spinosi: licenziamenti, tasse, sfratti, bombe sociali di competenza governativa. Ci sarebbe allora più spazio per partiti e Parlamento nelle questioni di loro primaria pertinenza: la legge elettorale, ad esempio, perché si è forse capito quanto sia fondamentale garantire rappresentanza ma anche competenza e qualità, evitando di andarle a cercare periodicamente alla Banca d’Italia. E poi una legge sulla concorrenza, la questione scuola, la riforma della sanità alla luce di quel che è successo. Un sistema politico che fosse impegnato su queste cose serie giustificherebbe il mantenimento in vita della legislatura più pazza della Repubblica. Nata allegramente populista e sovranista, potrebbe emendarsi finendo realista ed europeista.

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