Tra Meloni e Salvini leadership non scontata

Il commento. La campagna elettorale sta girando intorno ad un elemento che i sondaggisti e i giornalisti danno ormai per certo: il centrodestra vincerà. Naturalmente il Pd e il Terzo polo, oltre ai 5 Stelle, dichiarano di non essere d’accordo e che invece la partita è ancora aperta. Saranno gli italiani a decidere quale di questi vaticini anticipa la verità, sempre che i medesimi elettori riescano a dare un risultato chiaro.

Nel frattempo l’attenzione mediatica è soprattutto concentrata sulla domanda: il centrodestra (eventualmente) vincitore riuscirà (riuscirebbe) anche a formare un governo? Perché lì il problema non è semplice come si vuol far credere. È vero che grande virtù della coalizione fondata da Berlusconi è quella di presentarsi unita mettendo la sordina alle mille divisioni che l’attraversano: è un po’ un lascito da prima Repubblica, un obiettivo vantaggio mentre la sinistra continua a darsele di santa ragione in pubblico senza neanche nascondersi (sembra che il maggior bersaglio polemico del Pd sia il Terzo polo, e viceversa). Ma al di là della facciata «unitaria», la questione della leadership non è così lineare come vogliono far credere Berlusconi, Salvini e Meloni. Soprattutto questi ultimi due che ieri si sono fatti fotografare per l’ennesima volta abbracciati sullo sfondo del mare di Sicilia come se fossero fidanzati. Pochi minuti prima ciascuno di loro aveva con enfasi dichiarato di essere pronto a fare il presidente del Consiglio: è ovvio, non potrebbero dire parole diverse ai loro sostenitori e possibili elettori.

Parole di propaganda che tuttavia ci dicono che la corsa tra loro due è del tutto aperta anche se lei ha il vento più in poppa di lui. Meloni spera di vincere talmente bene - primo partito italiano, sopra il Pd - da superare da sola la somma dei voti di Lega e Forza Italia. In questo caso non avrebbe nessun problema a strappare agli altri due il via libera per dire a Mattarella: «Presidente noi abbiamo vinto le elezioni, abbiamo la maggioranza dei deputati e dei senatori e tutti insieme le diciamo che la candidata a guidare il governo sono io, Giorgia».

Ma c’è una possibilità: se Lega e Forza Italia tengono bene la botta, arginano le loro fuoriuscite di voti e insieme (federati?) riescono a raccogliere una quantità di voti almeno pari a quella di Fratelli d’Italia, allora la partita si può riaprire davvero, e con esiti oggi non prevedibili. Il risultato di una simile situazione potrebbe per esempio essere la scelta di una terza figura in grado di fare il presidente del Consiglio mettendo sul piatto della bilancia autorevolezza, competenza tecnica, conoscenze internazionali, affidabilità, ecc.: non a caso Giulio Tremonti - ben conoscendo la questione - da settimane scalda i motori ed è attivissimo. L’altroieri l’ex ministro del Tesoro di Berlusconi ha rassicurato tutti sul fatto che «non un euro di maggior debito» si potrà fare per arginare il caro-bollette. In questo d’accordo con Draghi, e quindi con Bruxelles e Francoforte, un po’ meno con Salvini che continua invece a chiedere lo scostamento del deficit a Draghi (che non lo farà).

Come si vede dunque la questione della leadership e della premiership nella coalizione che sembra predestinata a vincere è cosa non così automatica («Chi di noi prenderà un voto in più, sarà candidato» dissero in coro i tre alleati) e la sua soluzione dipenderà da molti fattori. Il primo dei quali si chiama Sergio Mattarella il cui rispetto formale e sostanziale per la Costituzione non ne fa certamente un notaio. C’è persino chi pronostica che un mancato accordo nel centrodestra sulla composizione del loro (eventuale) governo porrebbe le premesse per un nuovo esecutivo di larga unità giustificato dalle mille emergenze con cui stiamo combattendo, a partire dall’abnorme aumento del gas. Ma ne riferiamo per puro dovere di cronaca.

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