L'Editoriale / Bergamo Città
Sabato 04 Maggio 2019
Tra Francia e Germania
l’Italia è il vaso di coccio
La mancata fusione tra Deutsche Bank e Commerzbank ha reso evidente la fragilità della Germania. Non solo il settore finanziario è in difficoltà ma è la strategia industriale tedesca che rivela i suoi limiti. La crisi della Volkswagen nasce dalla convinzione di poter affrontare il futuro senza stravolgere il modello di produzione. Arroganti sino al punto di esporsi alle manipolazioni dell’emissione dei fumi del diesel. Non è stato un semplice trucco per sottrarsi ai controlli antismog, è stata la prova provata che la tecnologia tedesca era in ritardo e non sapeva come sottrarsi alla sfida dei nuovi motori ibridi ed elettrici.
Questo spiega perché l’automotive in Europa sia in crisi e condizioni lo sviluppo economico. Sono 640 mila i dipendenti Volkswagen, un esercito al quale dare lavoro con prodotti che vanno inventati e impostati di nuovo senza avere il tempo necessario per stare al passo con la concorrenza. La tecnologia ci sarebbe ma si è partiti troppo tardi. Tutto questo per dire che i grandi gruppi che hanno fatto la storia del Paese sono in mezzo al guado, devono affrontare la sfida della digitalizzazione ed al contempo della creazione di prodotti rivoluzionari che prescindano dai combustibili fossili.
Il gruppo Thyssenkrupp che dal 1811 rappresenta la forza tedesca nell’acciaio teme di essere scorporato e diviso. Daimler Mercedes sta percorrendo la via crucis del suo concorrente Volkswagen. Poi ci sono anche le imprese che sono competitive sul mercato. Sap produce software ed è la più grande in Europa, ma capitalizza in Borsa 140 miliardi di euro a fronte degli 890 di Microsoft alla Borsa di New York. La politica si è resa conto della situazione ed il ministro dell’Economia Peter Altmaier ha proposto un intervento dello Stato per sviluppare una strategia industriale che privilegi i campioni nazionali.
Ma il progetto è stato accolto con scetticismo. Non è tanto questione di risorse finanziarie quanto di strategie industriali e quelle le possono sviluppare solo le imprese, i soggetti economici interessati in prima persona. Il modello renano prevedeva che tutto rimanesse in casa, che l’ economia fosse a trazione tedesca senza intromissioni straniere. Chiedere a Pirelli quando a suo tempo - i cinesi erano di là da venire - pensò di acquisire Continental allora in difficoltà. Adesso la Germania deve fare i conti con gli altri. Da sola non gliela fa. Da qui le necessità di scegliersi i partner. Berlino, se proprio si deve aprire, guarda a Parigi. A Siemens andava bene il matrimonio con i francesi di Alstom nel ferroviario ma la Commissaria alla Concorrenza Margarethe Vestager ha detto no. Forte l’irritazione del governo tedesco e anche di quello francese. L’Europa non è quella da loro pensata e quindi già circolano proposte per modificare la legge che regola le fusioni e disciplina la concorrenza. Il progetto franco tedesco si muove secondo linee di politica economica condivisa a livello interstatale.
Vuole favorire le unioni che creano grandi aziende in grado di poter essere etero-guidate dal governo. Airbus è un gigante nell’aerospaziale, ha una complicata storia di gestione binazionale ma alla fine funziona. Si dice europeo ma la verità è che rappresenta gli interessi nazionali di Francia e Germania. In questa combinazione l’Italia è un vaso di coccio.
L’economia tedesca ha creato catene di valore che coinvolgono i Paesi dell’Est Europa e lo stesso ha fatto con il Norditalia dove sono molte le aziende fornitrici dell’industria tedesca e quindi sensibili alle politiche aziendali d’oltralpe. La differenza è che l’Italia ha una storia di primo piano, non è l’ultima arrivata dalla puszta ungherese e questo ruolo ancellare le sta stretto. La politica estera italiana in Europa sta tutta qui.
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