L'Editoriale
Sabato 06 Agosto 2022
Tra Erdogan e Putin un’alleanza per contare
Il Gatto e la Volpe l’hanno rifatto. Quando pensi che Recep Tayyip Erdogan e Vladimir Putin siano sul punto di prendersi a botte, ecco che i due trovano un modo per darsi reciprocamente una mano. Il caso più clamoroso si ebbe verso la fine del 2015, quando un caccia russo impegnato in Siria sconfinò brevemente in Turchia e fu abbattuto. Ci furono urla e strepiti, ovviamente, e minacce.
La Russia attuò una specie di embargo che costò parecchi soldi alla Turchia. Ma pochi mesi dopo furono i servizi segreti russi, pare, ad avvertire Erdogan del golpe che si preparava contro di lui, salvandogli lo scranno e forse anche la vita. Il tutto mentre Russia e Turchia continuavano in teoria a combattersi, con la prima schierata a fianco di Bashar al-Assad e del regime siriano e la seconda impegnata ad armare e finanziare i guerriglieri più o meno islamisti che quel regime volevano abbattere.
Anche sulla questione ucraina le cose potevano mettersi male, tra i due. Erdogan ha fornito all’esercito del presidente Zelensky i famosi droni Bayraktar che sono stati micidiali nelle prime settimane di guerra, tanto da diventare persino protagonisti di canzoni patriottiche. Però lo stesso Erdogan, che pure controlla il secondo maggiore esercito della Nato, ha rifiutato di allinearsi alle sanzioni contro la Russia. E tiene tuttora la Nato in sospeso rifiutando di dare via libera all’ingresso di Finlandia e Svezia, o almeno esigendo un prezzo politico, a danno dei curdi, molto elevato. Era inevitabile, quindi, che il Gatto e la Volpe tornassero a sorridersi. Ieri, a Sochi, i due hanno siglato una serie di accordi di cui parleremo tra poco, non prima però di aver sottolineato che essi confermano la scelta strategica della Turchia, che nella crisi di relazione tra la Russia e l’Occidente ha intravisto la possibile revisione degli equilibrii politici internazionali finora vigenti e ha deciso di giocarsi in proprio la partita. Il che, ovviamente, è una buona notizia per la Russia, che con la Turchia parla volentieri anche di Siria, di Libia, di Azerbaigian e Armenia, di Afghanistan.
Ma si diceva degli accordi raggiunti tra Putin ed Erdogan. Se stiamo alla stretta attualità, la pagina più importante è quella in cui i due presidenti hanno detto che l’accordo per l’esportazione del grano ucraino «deve essere applicato i tutti i suoi aspetti», il che vuol dire che la Russia deve poter esportare fuori dalle sanzioni il suo grano (quest’anno raccolto record, 130 milioni di tonnellate) e i suoi fertilizzanti. È quello che i Paesi occidentali chiamano «il ricatto di Putin» ma tant’è: se Erdogan, che ha mediato con il Cremlino un accordo vitale per l’Ucraina che nessun Macron o Scholz avrebbe ottenuto, dice così, così evidentemente sarà. E poi ci sono le questioni energetiche: la Russia è impegnata a costruire in Turchia due centrali nucleari e intanto ha ottenuto che la stessa Turchia paghi parte delle forniture russe di gas in rubli. Non farà male più di tanto allo strapotere del dollaro sui mercati internazionali ma è pur sempre un segnale che si affianca ad altri, e viene pur sempre da un Paese, quello di Erdogan, su cui gli Usa possono esercitare pressioni solo fino a un certo punto, vista la sua importanza strategica. Infine gli spiccioli: il turismo (la Turchia è una delle mete predilette dei russi), il commercio, l’intento comune di ampliare la cooperazione economica. Bisognerebbe chiedersi che cosa spinge due uomini così diversi, il Cavallo Pazzo turco e l’Uomo di Ghiaccio russo, a trovarsi e ritrovarsi contro ogni pronostico. La mia personale spiegazione è questa. Erdogan e Putin sono i leader che hanno ridato orgoglio a due Paesi ricchi di storia e di possibilità che soffrono dello stesso angosciante complesso: quello di non contare nel mondo per quanto loro pensano di valere. Cosa che vale ancor più per la Russia, più vasta, ricca e potente, e infatti oggi impegnata a invadere l’Ucraina per far la guerra al predominio americano. Difficile dire che cosa ci sia in fondo alla loro strada. Sia l’uno sia l’altro sono stati spesso dati per finiti, e sono sempre lì. Ma per la stabilità dei loro Paesi si potrà sempre dire la stessa cosa?
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