Tra economia e sanità
il ritorno dello Stato

La pandemia non concede tregua. Continuiamo a piangere i morti, a lamentare i contagi, a disperarci per il disastro economico. Ai guasti di oggi dobbiamo sommare inoltre quelli di domani. Siamo certi ormai che il mondo post-pandemico sarà diverso, forse irriconoscibile. Saranno diverse le nostre vite. Diverso sarà il mondo in cui vivremo. A cominciare dalla globalizzazione. Questa resterà il nostro destino: ce l’ha ribadito con forza la diffusione del Covid. È bastato un contagio a Wuhan e Codogno si è ritrovato con il «paziente zero». Se la globalizzazione resta il nostro destino, tuttavia sta cambiando la sfida che ci propone. Un primo indizio nostrano. È stata l’emergenza sanitaria ed economica a farci riscoprire (e pour cause) l’imprescindibilità della competenza e dell’esperienza, necessarie per governare il Paese.

Secondo indizio, questo condiviso con il mondo intero. Fino all’esplodere della pandemia, la globalizzazione appariva come un ciclone che nessun argine poteva arrestare. Un ciclone distruttivo (per il mondo industrializzato) ma per certi versi anche benefico (per il terzo e quarto mondo): fautore, in definitiva, di una distruzione creativa che ha riscritto la gerarchia dei poteri, sostituendo al primato della politica quello della finanza.

Con la pandemia abbiamo visto, tuttavia, quale differenza corre tra i Paesi che possono disporre dei vaccini e quelli che ne sono privi. La politica è tornata, così, sorprendentemente decisiva. Non solo per i vaccini, ma anche per la sanità, per non dire dell’economia. Ristori, sostegni, sgravi fiscali sono diventati la domanda pressante di imprese, famiglie, lavoratori allo Stato. Il Covid ha fatto riscoprire il ruolo prezioso dello Stato nazionale in molte materie: sanità, scuola, ricerca, giustizia, oltre ovviamente all’economia. Abbiamo imparato che la globalizzazione è, sì, un diluvio che invade ogni angolo del globo. Vediamo però che da questo ciclone riescono a non farsi travolgere solo i Paesi che sanno alzare qualche protezione. Se lo Stato nazionale ha perso via via in questi anni competenze, attribuzioni, sovranità, la pandemia ci ha fatto riscoprire che esso può avere ancora un ruolo cruciale su numerosi fronti. È un’acquisizione, questa, destinata a correggere lo scenario politico generale. Riserva nuovi imbarazzi a qualcuno e nuove opportunità invece ad altri.

Sui blocchi di partenza si trova avvantaggiata la destra, segnatamente Fratelli d’Italia che dello Stato nazionale ha fatto una sua icona. Penalizzata è invece la sinistra che dell’universalismo dei diritti, del cosmopolitismo, dell’europeismo si è proposta come alfiere. Questa la situazione ai blocchi di partenza. Decisiva sarà la capacità dei partiti di aggiornare la loro strategia. La destra ha da liberarsi del suo passato. Non può confondere sovranità con sovranismo: la prima è una risorsa per approntare delle difese, il secondo una ritirata, che può trasformarsi in una rotta.

Sul versante opposto, la sinistra è chiamata ad aggiornare la sua politica, stando attenta a non cadere dalla padella nelle braci. Nel tentativo di riconquistare il popolo dei perdenti della globalizzazione, che in questi anni sono corsi sotto le bandiere del populismo, deve stare attenta a non farsi catturare dai vecchi amori dello statalismo: una variante di sinistra - a ben guardare - del sovranismo di destra. Uno Stato nazionale funzionale ed efficiente, un ceto di governo competente ed esperto, un sostegno forte all’efficentamento del sistema-Italia: questa la sfida che attende i partiti nel dopo la pandemia.

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