Tra cantieri, mobilità e un futuro da rivedere

BERGAMO. Servirà molta pazienza e si sapeva, ma le conseguenze della chiusura di via Maironi da Ponte per i lavori di rifacimento dell’acquedotto fanno sorgere diverse domande sulla situazione della viabilità cittadina, presente e futura.

Tutte già abbastanza intuibili e in taluni casi già arcinote, peraltro. Con ordine: il caos di ieri, destinato inevitabilmente a perpetuarsi fino al termine dei lavori (metà luglio salvo complicazioni) ha reso evidenti tutte le difficoltà, per non dire l’impossibilità, del vietare l’attraversamento di Città Alta al traffico da e per la Val Brembana. Il che porta a un’altra, automatica, domanda: è accettabile che un percorso in un contesto così delicato come Città Alta (per cortesia, mettiamo da parte per un attimo la questione parking Fara, è tutta un’altra faccenda...) funga di fatto da circonvallazione interna? La risposta è no, chiaramente,ma alternative non ve ne sono e il traffico impazzito di ieri lo conferma. Ed è un fior di problema, soprattutto in una città con una morfologia particolare e non uguale a nessun altra. Come del resto ogni città, a essere onesti.

La Val Brembana e il 2026

La linea T2 del tram che vedrà la luce per la seconda metà del 2026 alleggerirà la situazione? La speranza c’è, perché dovrebbe drenare in parte (quanto è da capire) il traffico da e per la Val Brembana. Ma anche qui bisogna avere un minimo di visione e lungimiranza: perché questo accada serve anche una ridefinizione (preventiva, quindi va studiata ora, non a opera finita) del sistema di parcheggi e interscambio. Evitando quello che i sindaci della valle hanno acutamente definito «effetto Cascina Gobba».

Il trasporto pubblico, potenziato quanto si vuole, può fare ben poco se nelle ore di punta si ritrova bloccato in coda con quello privato

Lo sguardo va però necessariamente ampliato alla situazione del capoluogo, sempre più difficile da gestire sul versante della mobilità sia privata che pubblica, perché la prima ha inevitabilmente riflessi sulla seconda. Viene in mente un bizzarro (diciamo così) post elettorale di un candidato delle ultime elezioni che teorizzava «meno corsie preferenziali e più autobus» sorvolando sul fatto che il trasporto pubblico, potenziato quanto si vuole, può fare ben poco se nelle ore di punta si ritrova bloccato in coda con quello privato. Perché è questo che succede da anni a Bergamo, e spazi di manovra non ve ne sono, nel senso fisico del termine. A meno che qualcuno non pensi di spianare via Borgo Palazzo, San Bernardino, Moroni, Corridoni e qualsiasi altra arteria d’accesso per farci passare tutto e tutti: nel magico mondo dei social dove ognuno ha la soluzione in tasca può funzionare, in quello reale no.

L’esperienza quasi trentennale di tante città europee, francesi e tedesche su tutte, mostra che la sola soluzione davvero efficace è proprio quella tranviaria

Se una via d’uscita c’è, o si può immaginare, non può che passare dal trasporto pubblico, il solo in grado di spostare grandi quantità di persone in tempi certi. Ma bisogna che siano davvero tali, diversamente non sarà mai competitivo. Sul fronte opposto, vietare l’accesso a quello privato è irrealizzabile, diverso è il discorso di limitarlo e dove necessario penalizzarlo anche con la leva tariffaria, possibilmente con una visione capace di contemperare le differenti esigenze e senza guerre di religione. L’esperienza quasi trentennale di tante città europee, francesi e tedesche su tutte, mostra che la sola soluzione davvero efficace è proprio quella tranviaria, scelta recentemente anche da Bologna, Firenze e pure Brescia che dopo l’esperienza della metropolitana (caso più unico che raro in ambiti urbani inferiori ai 300mila abitanti) ha cambiato rotta per l’estensione della rete di trasporto pubblico.

E poi c’è la T3

Nulla di davvero nuovo, la cosiddetta T3 (urbana, da via Corridoni al nuovo ospedale) compare già nella richiesta di finanziamenti presentata da Comune e Provincia nel 2009, quando però si privilegiò la linea per la Valle Brembana. Magari il progetto è da rivedere, per esempio prevedendo un terminale all’uscita dell’autostrada sul modello di diverse città francesi o integrandolo meglio con il futuro servizio ferroviario da e per Ponte San Pietro che come distanza di fermate ha caratteristiche in tutto simili alle S-bahn tedesche. I problemi semmai sono altri: la tipologia del servizio (e qui tocca alla Regione dire la propria come committente, inutile girarci intorno...) e l’assoluta necessità di proseguire verso est fino a Montello per realizzare un asse di trasporto pubblico davvero forte. Che però non sarà mai tale senza un servizio davvero urbano, capace per propria natura anche di dare un nuovo volto al centro città.

Da Albino a Vertova

È un sogno? Anche di più, considerando che l’iter per l’estensione della linea T1 da Albino a Vertova è iniziato nel 2016 e l’opera dovrebbe vedere la luce solo nel 2032 , 16 anni dopo... Ma se i sogni non si prova a metterli a terra con una visione di sviluppo che sia davvero completa e armonica, deragliare negli incubi è un attimo. Basta un cantiere.

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