L'Editoriale
Lunedì 13 Gennaio 2025
Tra buone amicizie e cattive compagnie
MONDO. La scarcerazione dell’ingegnere Abedini – accusato di rifornire droni ai Guardiani della rivoluzione in Iran, organizzazione terroristica per l’America ma non per l’Italia e l’Unione europea – rientra nella facoltà del ministro della Giustizia Nordio di chiedere ai giudici di revocare la custodia cautelare, liberando l’iraniano nelle more dell’iter di estradizione.
In sostanza, secondo la legislazione italiana, non c’erano gli elementi per convalidare lo status di detenzione. Combinando una difficile sintesi: render noto a Teheran che l’arresto non era un atto ostile e a Washington che il mancato trasferimento rappresentava un vincolo non conflittuale con gli Stati Uniti. Si chiude così la macchina giudiziaria, vissuta fin qui insieme a tre altre dimensioni: politica, diplomatica e di Intelligence.
Se si ritiene plausibile la tesi dello scambio differito fra una vittima innocente (Cecilia Sala) e l’uomo dei droni iraniani che a gennaio hanno ucciso tre militari americani, c’è uno scarto fra un sopruso poliziesco ai danni della giornalista e un’ipotesi di reato sollevata dagli americani ma non confermata dalla normativa del nostro Paese. Siamo nei termini di una contropartita. In casi di questo genere vale sempre la regola che il primo obiettivo irrinunciabile è portare a casa l’ostaggio. Costi quel costi, in nome della realpolitik, della ragion di Stato che induce a prendere certe decisioni in momenti terribili e per tempi non comuni. E così è stato. In presenza di un intrigo internazionale come pochi nella storia recente, la questione riguarda però il dopo e il prezzo che uno Stato deve pagare in ragione della irrinunciabile salvezza della persona in questione: occorre soddisfare (piaccia o meno) il reo e chi ha contribuito a disarmarlo.
Quel che ha colpito è (fortunatamente) la brevità della carcerazione della giornalista e soprattutto l’accelerazione che ha portato al suo rilascio
Non è la prima volta che succede, anche in termini di soluzioni indicibili, e, come sempre, noi ragioniamo semplicemente su frammenti di fatti oggettivi. Assai poco. Il resto appartiene a ciò che le autorità pubbliche non possono dire per ragioni istituzionali. La trasparenza incontra il proprio limite nella sicurezza. Quel che ha colpito è (fortunatamente) la brevità della carcerazione della giornalista e soprattutto l’accelerazione che ha portato al suo rilascio. Ad esempio: se non sbagliamo, ci sono ancora tre francesi, cioè cittadini di uno Stato più importante dell’Italia, da lungo tempo nelle carceri iraniane. Giorgia Meloni ha beneficiato di una tradizione diplomatica che fa da «cerniera» nel Mediterraneo e che nel corso dei decenni ha saputo costruire ponti, un Paese che non ha chiuso il dialogo con il regime iraniano. La premier, bypassando la Farnesina, ha sfruttato tre vuoti. Il primo è la transizione fra Biden e Trump. Il secondo è la paralisi europea con Ursula von der Leyen ricoverata per polmonite, la Germania in crisi di nervi per l’ascesa dell’estrema destra e la Francia alle prese con un nuovo governo e con i conti pubblici che non tornano. Il terzo è l’inserimento nella dialettica, o nel confronto, fra l’apparato repressivo di Teheran e l’ala riformista della presidenza della Repubblica islamica e degli Esteri: il primo ha gestito il sequestro della giornalista, la seconda ha risolto la vicenda. Il regime teocratico vive comunque una fase critica fra la caduta del siriano Assad e lo smantellamento di Hamas e Hezbollah.
Il blitz della Meloni da Trump
La decisione di Nordio, comunque la si voglia giudicare, chiude il cerchio di una relazione in cui l’Iran si fida di un interlocutore che ritiene comunque importante. La fase decisiva è toccata a Meloni con il blitz da Trump, assente Elon Musk ma sempre presente come ispiratore più o meno occulto, tanto più che il patron di Space X, ancor prima del dramma di Cecilia Sala, avrebbe avuto un incontro con l’ambasciatore iraniano all’Onu. Diplomazia irrituale a parallela, un po’ fuori dagli schemi. Il costo da pagare incrocia proprio le amicizie pericolose della premier italiana, fin qui equilibrista consumata fra gli opposti. Il cambio alla Casa Bianca e il nervosismo internazionale potrebbero risultare apparentemente favorevoli al protagonismo della premier, non necessariamente all’Italia almeno in prospettiva, come s’è visto dallo schierato sostegno ad un invadente guastatore dell’ordine liberale qual è Musk, mettendosi così su una china scivolosa.
I nuovi equilibri internazionali, uniti alla frammentazione dei Grandi, richiedono un surplus di responsabilità e di credibilità anche per il nostro Paese, forse superiori al peso specifico dell’Italia, e che sfidano la stessa Meloni: chiamata a bilanciare l’amicizia con l’imprevedibile America di Trump-Musk, senza incrinare il rapporto con l’Unione europea. Fra buone amicizie e cattive compagnie.
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