L'Editoriale / Bergamo Città
Venerdì 08 Marzo 2019
Tra Bergamo e Treviglio
un futuro fermo in coda
Il progetto è del 2012, ma l’idea è di molto prima. Di quando cioè le Camere di Commercio di Brescia, Bergamo e Milano hanno cominciato a pensare ad un’alternativa alla congestionata A4 allora a tre corsie. Il collegamento diretto tra Bergamo e Treviglio nasce in un’ottica di ridisegno della grande viabilità regionale, con particolare attenzione al nodo milanese dove confluisce praticamente tutta la rete lombarda, compresa quella ferroviaria. Se il progetto è del 2012, la costituzione di Ipb, diventata poi Autostrade Lombarde è del 2002. Dieci anni prima. E il primo dato – fondamentale – sul quale soffermarsi quando si parla di infrastrutture nella nostra provincia è proprio quello temporale: stiamo parlando di un nastro di asfalto dalla bellezza di 17 anni.
A chilometro zero, o meglio a zero chilometri. Il dato diventa paradossale se ci soffermiamo su quell’acronimo Ipb: sta (stava) per interconnessione Pedemontana-Brebemi. La seconda è il risultato di una visione lungimirante degli enti camerali a fine millennio scorso, la prima è ancora per la maggior parte sulla carta. La mitica autostrada che avrebbe dovuto collegare le province di Bergamo, Milano (Monza-Brianza non esisteva all’epoca), Varese e Como. Prima apparizione quasi mistica nei Piani territoriali, anno di grazia 1963. Cinquantasei anni fa. Chilometri finora realizzati, 22 sui 67 complessivi. Ci sia consentito questo excursus storico perché lo pensiamo fondamentale per collocare la questione della Bergamo-Treviglio in una prospettiva di sviluppo capace di andare un po’ al di là di un approccio tra guelfi e ghibellini. Perché il vero problema di questo territorio (e del Belpaese in generale) è che le opere, tutte le opere, nascono già vecchie: debilitate, depotenziate - stroncate verrebbe da dire - da un dibattito estenuante e da una sostanziale mancanza di assunzione di responsabilità.
E qui purtroppo la politica ha fatto, o non ha fatto, la sua parte. Senza distinzione di parte. Il rischio della Bergamo-Treviglio è ancora questo, e va ben al di là di quello ambientale, comunque elevato. Perdere cioè di vista il reale sviluppo di un territorio come quello bergamasco che guarda sempre di più verso la pianura e decidere di conseguenza: lo confermano gli investimenti in serie lungo l’asse della Brebemi, destinato a diventare con il passare del tempo ancora e sempre più attrattivo. In un quarto d’ora da Treviglio si arriva a Brescia o alle porte di Milano: nello stesso tempo da Bergamo si fa fatica a superare Stezzano. Ed è un gap competitivo da colmare che va ben al di là del rapporto (parecchio complesso) tra il capoluogo e la Bassa: quell’apertura a sud diventa inevitabilmente lo sbocco al mercato anche per le nostre valli. Perché Brebemi, al di là delle polemiche eterne su costi e benefici, ha sicuramente ridisegnato gli equilibri della Bergamasca e di mezza Lombardia, e non si può fare finta di niente. Il che non vuol dire sottovalutare i complessi problemi di impatto ambientale, ci mancherebbe, né la mutata condizione di un collegamento che, con ogni probabilità, non si innesterà sulla Pedemontana, destinata a terminare la sua corsa qualche chilometro più ad ovest, sulla prosecuzione della nuova Tangenziale esterna.
I problemi ci sono, inevitabili, ma vanno affrontati una volta per tutte senza trincerarsi dietro la solita inutile melina. Certo, magari il periodo elettorale alle porte (o la campagna elettorale permanente, fate voi) non aiuta un dibattito sereno, ma un collegamento tra Bergamo e Treviglio serve, e serve a tutti: bisogna decidere come farlo, esaminando anche eventuali alternative se reali ed efficaci, ma va fatto. E in fretta. Prima di veder scappare via un pezzo di futuro mentre si resta fermi in coda.
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