Terremoto Regionali
Incognita per Salvini

Cosa ci si può attendere dopo questo ennesimo voto regionale? Essenzialmente una cosa: che le elezioni europee di fine maggio avranno il peso e il valore di una consultazione politica generale. Una sorta di appello dopo il 4 marzo 2018, le elezioni che hanno largamente premiato un partito, il M5S, senza dargli i numeri per governare da solo; che hanno confermato il primato di una coalizione, il centrodestra, ugualmente negandole la possibilità di formare un governo; che hanno duramente punito la sinistra, sia il suo principale partito, il Pd, sia le formazioni minori dei fuoriusciti, mettendola ai margini.

Tutto questo ha prodotto un governo oggi lacerato da forti tensioni e che affronterà la prova del 26 maggio in condizioni del tutto diverse dall’anno scorso. Primo. I rapporti di forza si sono ormai capovolti. Lo dimostrano le elezioni regionali: il centrodestra leghista ha vinto ovunque, è cresciuto elettoralmente fino a raddoppiare i consensi, mentre il M5S ha dimezzato i voti. Nelle ultime tre regioni del Centrosud dove si è votato il M5S l’anno scorso aveva raccolto il 40% dei voti, anzi in Basilicata il 44,3. Dopo dodici mesi, si ferma al 20. Di Maio canta vittoria perché a Potenza ha mantenuto il posto di primo partito ma questo serve per la propaganda: la realtà è che adesso, pur essendo al governo, Di Maio ha la metà dei voti del marzo 2018.

Siccome questi andamenti elettorali sono stati anticipati da mesi dai sondaggi, le elezioni regionali ne costituiscono la controprova: non ci stupiremo dunque di avere a maggio una Lega al 34-35% e un M5S intorno 20, soglia psicologica sotto la quale può succedere solo un terremoto. Domanda: quale governo ha mai resistito ad una tale, spettacolare inversione di rapporti di forza? A maggio Salvini sarà il padrone e non più l’alleato minore, e Di Maio sarà il gregario, non più il capo del principale partito italiano: come potranno andare avanti senza rimettere mano al contratto, alla Tav, all’autonomia regionale, ai cantieri, alle poltrone dei ministeri e del sottogoverno?

Secondo. Salvini, che è un abile tattico, giura che qualunque sarà il risultato lui terrà in piedi il governo. Lo fa perché gli elettori tradizionalmente puniscono chi sfascia casa, e lo fa perché un Di Maio a pezzi è per lui il migliore alleato possibile. Se poi il terremoto in casa grillina sarà davvero devastante, sarà proprio il M5S a far cadere il governo e andare alle elezioni anticipate nella speranza di tornare all’originaria verginità e all’opposizione senza ammainare le bandiere («Onestà, onestà!»). Va da sé che una fine del genere significherebbe la certificazione di un fallimento, di un’inettitudine di fronte alla prova del governo. Variante (improbabile): un nuovo abboccamento col Pd. Al prof. Cacciari piacerebbe.

Terzo. Se il M5S dovesse alle europee confermare il dimezzamento dei voti, il Pd tenterà di subentrargli come secondo partito, ricacciandolo in fondo, e riaprire la gara del centrodestra-centrosinistra. Zingaretti cercherà di raccogliere tutte le forze, da Calenda alla sinistra-sinistra, nel tentativo di arrivare al 21-22% e superare il M5S in discesa. È la prima vera prova del neo-segretario del Pd: anche lui a maggio si gioca tutto, se fallisce la gara, le correnti cominceranno a fargli la guerra come è successo con Renzi.

Quarto. L’unica vera incognita per Salvini. Come si comporterà con i suoi alleati (locali) Berlusconi e Meloni? Lui continua a dire che la categoria politica del «centrodestra» è morta. Si capisce: il futuro lo vede aprirsi solo per se stesso. Ma anche Salvini ha un problema: per quanto la Lega possa avere una crescita strepitosa, è difficile che conquisti la maggioranza assoluta alla Camera e al Senato. E allora? Toccherà tornare a parlare con Berlusconi e i suoi colonnelli. «Solo a pensarci mi viene l’orticaria» confessa il Capitano.

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