L'Editoriale
Mercoledì 26 Ottobre 2022
Tentazione identitaria ma Meloni non esagera
C’era tanta curiosità per come sarebbe stato il primo discorso «di destra» dalla nascita della Repubblica di un presidente del Consiglio. Giorgia Meloni ha svolto la sua parte con molta misura badando però a dire parole chiare sul punto più difficile di tutti: «Non ho mai avuto simpatia per i regimi totalitari, compreso il Fascismo, e quanto alle leggi razziali del 1938 sono una macchia incancellabile della nostra storia».
Poi, di fronte alle opposizioni che si propongono di «vigilare» sui diritti civili, la neo-presidente ha detto che nessuno ha da temere, tantomeno le donne. Certo, a differenza di quanto pensano le sinistre, Meloni mette l’accento sulla natalità più che sull’aborto ma dichiara di non avere nessuna intenzione di modificare la legge 194, semmai di applicarla per intero per proteggere anche le donne che – la legge lo prevede – possono evitare l’interruzione della gravidanza. Qui certo la differenza dei toni si è ben vista, con tanto di sarcasmo. A Debora Serracchiani del Pd che teme che «Meloni voglia mettere le donne un passo dietro gli uomini», la premier ha risposto: «Mi guardi, le sembro una che sta un passo dietro un uomo?». Tuttavia queste argomentazioni non hanno convinto le opposizioni.
Altro punto focale del «sovranismo di destra» di cui Fratelli d’Italia e la sua leader sono stati esponenti in Europa, il rapporto con Bruxelles. Da quello che abbiamo ascoltato, il governo di Roma che nasce ora non vuole avere un rapporto conflittuale, anzi: «Se l’Europa ha perso dei treni – ha detto – questo non è stato certo per i sovranisti», come dire: è successo per gli interessi nazionali che si sono scontrati tra loro dando sempre la meglio ai più forti. Quindi, ma questo certo non è una novità, l’Italia di destra starà a Bruxelles con un piglio diverso: non sembra però di intravedere nelle parole pronunciate nell’aula di Montecitorio che questo significherà alleanza con Paesi laterali come Ungheria e Polonia. Giocoforza Roma dovrà parlare e accordarsi con Parigi, Berlino, Bruxelles e Francoforte (semmai è stata la Bce oggetto di un paio di strali polemici, soprattutto sull’aumento dei tassi di interesse e sulla fine dei programmi di difesa dei debiti pubblici dei Paesi membri, cioè soprattutto del nostro).
Terzo elemento identitario: il vaccino. Non è un mistero che Fratelli d’Italia durante tutta la pandemia ha avuto nel mirino la linea rigorista del ministero della Sanità su vaccini, green pass, chiusure, ecc. Qui le parole di Meloni hanno mostrato forse la più vistosa torsione a favore dell’elettorato che ha votato FdI: mai citata la parola «vaccino» neanche quando è stato espresso il plauso per il senso di sacrificio del nostro personale sanitario.
Infine i programmi economici: promessa di interventi rapidi sul caro bollette ma molta gradualità sulla riforma delle pensioni e il taglio del cuneo fiscale. Apertura alla flat tax tanto cara a Salvini ma solo per le partite Iva (portando il limite da 65mila a 100mila euro), e per tutti gli altri interventi molto limitati. C’è però la proposta di una pace fiscale (sanatoria?)
Sulla transizione ecologica, sì alle rinnovabili ma anche alle trivellazioni di gas in Adriatico. E infine le riforme: Meloni vuole il presidenzialismo ma offre all’opposizione anche una mediazione sul semipresidenzialismo alla francese (che un tempo piaceva alla sinistra): la risposta di Letta è stata negativa ma Meloni ha promesso che non si fermerà di fronte «a opposizioni pregiudiziali». Per il resto consueta promessa di semplificare il mostro burocratico che soffoca la vita sociale ed economica.
Un discorso di destra? Sicuramente un discorso che non concede nulla alla sinistra. Ma nemmeno così apertamente identitario come pure si sarebbe potuto immaginare dopo settant’anni di emarginazione della destra. È probabilmente quel processo di adattamento al governo di cui Giorgia Meloni ha cominciato a dar prova immediatamente all’indomani del voto. Potrebbe creare già della disaffezione nel suo elettorato, cosa di cui è prevedibile approfitterebbe l’alleato leghista in cerca di rimonta.
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