L'Editoriale
Domenica 21 Aprile 2024
Taxi del mare. No, serve il senso del tragico
ITALIA. Nel 2016, l’avvio della maxi inchiesta fu accompagnato da giudizi sprezzanti espressi da importanti leader politici: etichettarono le navi umanitarie che salvano migranti nel Mediterraneo come «taxi del mare» e i loro componenti «amici dei trafficanti».
Venerdì scorso, dopo ben otto anni, il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Trapani ha chiuso definitivamente il caso decretando l’infondatezza delle accuse e spazzando via i sospetti di collaborazione appunto con i trafficanti libici. Il reato contestato era favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. La sentenza è stata chiara: non luogo a procedere, con il proscioglimento dei dieci indagati nel caso «Iuventa», dal nome della nave incriminata. «Il fatto non sussiste» ha affermato il giudice, andando oltre la richiesta della Procura che, dopo sei anni di indagini e due di udienza preliminare, aveva chiesto di non procedere perché «il fatto non costituisce reato». È emerso che l’inchiesta ha camminato su un mastodontico impianto accusatorio basato su intercettazioni, testimonianze rivelatesi fallaci e un’interpretazione distorta dei meccanismi del soccorso. Il maxi processo conclusosi nel nulla è costato alle casse pubbliche tre milioni di euro. La «Iuventa», sotto sequestro nel porto di Trapani dal 2017, nel frattempo è da rottamare perché non è stato possibile garantire le manutenzioni ordinarie. Prima di essere bloccata, aveva permesso al suo equipaggio di salvare dal Mediterraneo 14mila persone. Negli anni del fermo ne sono morte 10mila.
Riparare i danni arrecati ormai è impossibile. Ma il fallimento della maxi inchiesta ribadisce, se ce ne fosse bisogno, i mali della giustizia italiana: abuso dei processi fondati su teoremi, assenza di procedure e di personale che permettano di archiviare le accuse infondate scongiurando la lunghezza degli iter processuali. C’è poi un tema specifico dei soccorsi in mare. Le navi delle ong coprono un vuoto lasciato dagli Stati ma in Italia, appunto a partire dal 2016 e con un governo targato Pd, si cerca di limitare la loro azione con decreti e politiche di colpevolizzazione basate sul sospetto. È ormai provato che le imbarcazioni umanitarie non rappresentano un fattore di attrazione delle partenze dei migranti: picchi di sbarchi in Italia si sono registrati anche in assenza di quelle imbarcazioni in mare. Però solo nel 2023 le navi delle organizzazioni non governative sono state bloccate complessivamente per 430 giorni, mentre quotidianamente almeno sei persone perdono la vita nel «Mare Nostrum».
Il fenomeno delle migrazioni via mare, a oltre 30 anni dal suo esordio in Italia, continua ad essere trattato come emergenza e a scaldare ciclicamente il dibattito pubblico. Eppure solo il 15% degli immigrati irregolari (irregolari perché i canali regolari d’accesso per chi scappa da guerre e persecuzioni non ci sono e i decreti flussi sono sottostimati rispetto alla domanda di lavoratori) arriva attraverso gli sbarchi. Gli altri via terra o in aereo, ad esempio dall’America Latina, anche con visti turistici: alla loro scadenza, restano nel nostro Paese. Nel 2023 i rifugiati nel mondo hanno superato i 110 milioni. Sempre nel 2023 secondo «Eurostat» le domande d’asilo nell’Ue sono state un milione e 49mila, 130mila 600 in Italia, il 12% del totale (siamo al quarto posto fra gli Stati dell’Unione). Il 70% di chi arriva nel nostro Paese poi cerca (e spesso riesce) di raggiungere l’Europa centrale o del nord. Salvo i picchi di sbarchi, non fronteggiamo quindi un’emergenza, a saperla gestire. A cominciare dai salvataggi dei naufraghi: dovrebbe essere un imperativo morale per chi si dichiara appartenente a una civiltà. Bisognerebbe però depurare il dibattito dalle propagande e affrontare la realtà per come è, senza disperdere risorse in inutili battaglie giudiziarie. Ancora una volta serve la politica, animata anche dal senso del tragico. Eppure, a proposito della sentenza di Trapani, il presidente dei senatori di Forza Italia Maurizio Gasparri ha così commentato: «Il mio giudizio su molte di queste ong non solo resta immutato, ma nel tempo va peggiorando». L’ex ministro appartiene a un partito fieramente garantista e se è a conoscenza di fatti che suffragano il suo giudizio, dovrebbe agire di conseguenza. Finora le 22 inchieste che in Italia hanno riguardato le navi umanitarie si sono chiuse tutte con proscioglimenti, assoluzioni o archiviazioni. Tanto zelo andrebbe rivolto altrove, per colpire le vere centrali che lucrano sulle migrazioni. Il giudice Giovanni Falcone diceva che «il sospetto non è l’anticamera della verità». Si cerchi la verità.
© RIPRODUZIONE RISERVATA