L'Editoriale
Sabato 23 Febbraio 2019
Tav, tira e molla
in attesa del voto
Sin dalla stipula del cosiddetto «Contratto di Governo» tra Lega e Movimento Cinque Stelle la questione delle Grandi Opere, in particolare la Tav Torino-Lione, è stata un nodo politico irrisolto. Nel Contratto le due forze politiche hanno trovato l’accordo in una formula di compromesso che rinviava la decisione sull’opera ad una revisione della medesima sulla base di una analisi dei costi e dei benefici. Era un modo per procrastinare la decisione dal momento che la Lega era ed è a favore della Tav e il M5S è risolutamente contrario.
Se l’una affonda le sue radici elettorali nei ceti produttivi del Nord che richiedono l’ammodernamento infrastrutturale del Paese come condizione della crescita (cui sinora si è dovuto fare largamente a meno), l’altro viceversa ha tra i suoi «padri» tutti quei movimenti del «No» (No-Tav, No-Tap, No-Ilva, No-Gronda, ecc.) mossi dall’ambientalismo più radicale o dalla profezia della «decrescita felice» o, ancora, dall’idea che ogni appalto nasconda una sentina di corruzione.
Come potevano i due partiti trovare un accordo sulla Tav? Finora sulle infrastrutture a cedere è stato soprattutto il movimento grillino: ha dovuto accettare sia il Tap a Melendugno che l’Ilva a Taranto, motivo per cui in Puglia i grillini sono elettoralmente scomparsi. La loro rivincita parziale è venuta dalla lotta alla Società Autostrade all’indomani del crollo del Ponte Morandi ma non è stata sufficiente a riparare le ferite precedenti. Il No alla Tav dunque è considerato come l’ultima trincea possibile: se venisse travolta quella, considerano Di Maio e Casaleggio, gli avversari dilagherebbero per le praterie elettorali grilline. E così da mesi si va avanti in questo tira e molla senza esito: ogni volta è stato spostato in avanti il momento della decisione. I francesi e la Commissione europea da ultimo hanno cominciato a fare la voce grossa, il rischio di pagare penali e restituire fondi è sempre più concreto insieme alla possibilità che si perdano altri fondi europei. E così l’alleanza di governo ha dovuto approvare alla Camera una mozione nella quale, sostanzialmente, si ripete quanto già scritto nove mesi fa nel Contratto: si procederà ad una revisione dell’opera.
Quando? Come? Le opposizioni vedono in questa mossa una resa di Salvini a Di Maio dopo che il M5S – sia pure con molte lacerazioni – ha sbarrato la strada ai giudici del Tribunale della Libertà di Catania di processare il ministro dell’Interno per la vicenda dei migranti bloccati migranti sulla nave «Diciotti». Lo scambio consisterebbe nel rinviare qualunque decisione a dopo le elezioni europee di fine maggio. Naturalmente sia Salvini che Di Maio negano sdegnosamente che ci sia stato questo commercio («Surreale», «una barzelletta», «Non siamo mica il Pd», ecc.) ma contemporaneamente nelle dichiarazioni ognuno va per la propria strada: «Sulla Tav nessuno stop, andiamo avanti» dice Salvini; «La Tav non si farà» insiste Di Maio insieme a tutti i grillini. Le opposizioni incalzano, le forze economiche del Nord sono in rivolta e avvertono la Lega di una possibile disaffezione, il governatore del Piemonte Chiamparino (Pd) prepara un referendum per travolgere coi voti popolari l’opposizione grillina ai cantieri.
Come finirà? Salvini non può perdere la faccia col suo elettorato. Di Maio non può cedere ancora una volta: i sondaggi gli attribuiscono metà dei voti presi il 4 marzo, e sa che se dicesse sì all’Alta Velocità ne perderebbe altri. Come potranno arrivare alle elezioni europee? Nessuno lo sa. Nel frattempo però si aspetta il voto di domani in Sardegna: la Lega spera di replicare il trionfo dell’Abruzzo, il M5S teme di arrivare terzo dietro un candidato del centrosinistra molto forte. Chissà che l’eco proveniente dalla Sardegna non arrivi fino ai cantieri di Chiomonte.
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