Tagli e tasse, contraddire le promesse per il Paese

ITALIA. I tormenti del nuovo Pbs, ex legge finanziaria, inducono a una riflessione più generale sulla politica in un Paese di democrazia parlamentare.

Il dibattito su tasse e tagli, su promesse e affanni, senza atti di vero coraggio, è il paradigma di una crisi innanzitutto di maturità. La politica è forse la più complessa e difficile fra le attività umane. Basterebbero le fallimentari semplificazioni del populismo a dimostrarlo. Se diciamo che in questi anni sono stati messi a rischio la democrazia e il pluralismo, non si emoziona nessuno, ma un recente studio di «Foreing affairs» ha dimostrato che sovranisti e demagoghi quando vanno al governo peggiorano il quadro economico, a causa di protezionismi e lesioni dello stato di diritto. Su un arco di 15 anni, è stato usato un algoritmo su un campione di Paesi disponibili alle lusinghe populiste e in quei casi il Pil è mediamente 10 punti più basso. Il populismo, insomma, è il contrario di un Reddito di cittadinanza, perché si lascia la società civile senza protezioni e si disincentivano crescita, investimenti, innovazione. Nei giorni scorsi questo dato è stato confermato dall’assegnazione del Nobel per l’economia a tre ricercatori che hanno dimostrato proprio la relazione tra la ricchezza e lo sviluppo degli Stati e il funzionamento delle istituzioni.

I partiti e le promesse elettorali

Ma il problema vero, che sperimentiamo in Italia anche dopo il ribaltamento degli equilibri verso destra, è il fatto che i partiti - oggi impoveriti nella loro funzione di intermediari sociali, privi di classi dirigenti selezionate dal basso ma cooptate dall’amichettismo, impreparati a

«Oggi i partiti sono tutti populisti in campagna elettorale, e realisti loro malgrado quando vanno al governo».

sostenere battaglie sui contenuti che non siano solo un’emozione social -, sono tutti populisti in campagna elettorale, e realisti loro malgrado quando vanno al governo. E così è persino troppo facile ironizzare sulle contraddizioni, perché davvero ci sono velleità draghiane (o persino montiane) nella politica economica del governo Meloni, costretto realisticamente ad una manovra mediocre ma dignitosa, e allora è un paradosso triste che la reputazione di chi governa sia tanto più apprezzata quanto più si discosta dalle promesse fatte per avere i voti. E questo è diseducativo per gli elettori, che si sentono presi in giro se ti hanno votato perché abolivi le odiose accise, attuavi i blocchi navali, cancellavi la Fornero e promettevi sfracelli in Europa. I numeri elettorali di Salvini e Conte crollano più per delusione che per una critica motivata e le delusioni allontanano dalle urne.

L’errore non è quello che si fa ora, cercando di essere ragionevoli ma quello che si è fatto sui palchi dei comizi, facendo sognare il mitico cambiamento. Nessuno che dicesse chiaro che con 3mila miliardi di debito pubblico è il mercato dei creditori che ti comanda, o che senza la Bce saremmo da tempo in default. E che il Pnrr è una benedizione che sconsiglia di far comunella con tipini alla Orban o alla Wilders, pesci fuor d’acqua a Pontida, che - da buoni nazionalisti - sono i peggiori nemici dell’Italia patriottica.

Il difficile equilibrio tra consenso e azione

Dopo l’approvazione, e ancora senza un testo preciso, continua ossessivo il gioco al rialzo sulle tasse e sui tagli, che nessuno vuole intestarsi. Mai ci si chiede se queste misure sono o non sono necessarie. Perché se lo sono, non si possono nascondere sotto il tappeto. È pura

«Dopo l’approvazione continua ossessivo il gioco al rialzo sulle tasse e sui tagli, che nessuno vuole intestarsi»

propaganda raccontare che si finanzia la sanità con i soldi delle banche e delle assicurazioni, che in realtà anticipano versamenti che saranno restituiti, e nel frattempo dovranno rivalersi sui clienti. Anche l’opposizione ha le sue responsabilità, se chiede cose impossibili. Si calcola che il programma elettorale di Kamala Harris se applicato integralmente costerebbe 3.500 miliardi di dollari, anche se quello di Trump ne costerebbe 7.500. Possibile che gli elettori ci caschino sempre?

Dopo due anni e avendone davanti tre, per Meloni è l’ultima occasione, anche se è dura rimangiarsi i proclami. Ne sanno qualcosa il premier britannico, che per fare sul serio ha già perso 30 punti rispetto alla recente vittoria, e quello francese, che propone addirittura una patrimoniale, che da noi è una parolaccia.

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