Svelenire il clima
non solo riforme

C’è qualcosa di veramente strano in questa sorta d’innamoramento che gli italiani stanno provando per Draghi. La stima, l’ammirazione, la fiducia subito espresse nei suoi confronti sono state così entusiastiche, così incondizionate, così corali che fanno pensare davvero a quella che Francesco Alberoni chiamò a suo tempo la condizione magica dello «stato nascente». Intendeva con questa definizione il processo attraverso il quale due persone (ma anche intere comunità di persone) sentono di fondersi in una nuova identità. Succede all’improvviso. Da quel momento il passato per loro non conta più. Guardano solo al futuro. Sentono l’emozione travolgente di poter iniziare una nuova vita.

Non sarà innamoramento, ma ci assomiglia molto il sentimento di trasporto che ha investito Draghi non appena ha ricevuto l’incarico di formare il nuovo governo. S’è capito subito che non si trattava del solito passaggio di consegne da un premier a un altro. La sua non è stata una «discesa in campo», ma una «chiamata in campo». L’ex governatore della Banca d’Italia non è uomo di partito. Non è nemmeno un «civil servant», un tecnico di valore chiamato a servire la nazione in un momento d’impasse della politica. Il suo nome s’è imposto per lo standing, la reputazione che ha guadagnato in posizioni di massima responsabilità istituzionale, prima in patria e poi all’estero. Una competenza, la sua, arricchita dall’esperienza. Una considerazione guadagnata sul campo ad affrontare - e superare - crisi drammatiche. È insomma l’uomo giusto, al posto giusto, nel momento giusto. Chi meglio di lui potrà far riagguantare al nostro Paese un futuro di sviluppo?

Se è scattata la scintilla dell’innamoramento nei suoi confronti, evidentemente ce n’erano le condizioni. C’era, anche se sottotraccia e sovrastata dall’onda inarginabile di simpatie verso Conte, una gran voglia di cambiamento. Quanti non si auguravano di vedere la luce in fondo al tunnel della devastante crisi sanitaria, sociale, economica che dura ormai da un anno; quanti non hanno creduto ai loro occhi nel vedere rispuntare un tecnico di valore come Draghi. È scattato allora un moto irrefrenabile di apprezzamento nei suoi confronti che ha finito col travolgere anche i partiti.

Alla malora la coerenza. Alle ortiche il giuramento ribadito fino al giorno prima: «Dopo Conte solo le elezioni». In ventiquattro ore i partiti (salvo Fd’I) si sono resettati accogliendo l’invito di Mattarella a sostenere «un governo di alto profilo». Qualcuno, perché ricredutosi, qualcun altro facendo di necessità virtù. Risultato: tutti insieme appassionatamente. Così almeno sembra. È la magia dello «stato nascente». Ma, questo è tanto prodigiosamente trascinante quanto fuggevole. Viene presto il momento del rientro nella realtà. L’eccezionale si fa normalità.

Cominciano allora i problemi, spesso anche i guai. Sarà così, inesorabilmente, anche per Draghi. Nell’immediato l’urgenza di affrontare le due drammatiche emergenze dell’epidemia e della crisi economica aiuterà il nuovo premier a tenere a bada i partiti.

Ma sarà difficile anche per un uomo di valore come lui, che ha dato prova di sapersi districare tra i marosi della politica internazionale, tenere salda la barra del timone quando incrocerà gli scogli delle riforme (della sanità, dell’amministrazione pubblica, della giustizia) e il mare della politica si farà subito tempestoso. C’è solo da sperare che il clima da union sacrée che ha propiziato la nascita del suo governo abbia nel frattempo portato a smaltire il clima rissoso tra i partiti e la sbornia del populismo (Cinque Stelle) e del sovranismo (Lega).

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