Superbonus e nomine, fibrillazioni solo sopite

Italia. Non è il momento di rompere tutto, specialmente dopo il voto delle regionali. I capi del centrodestra sono arrivati a questa conclusione. Il governo è in piedi da pochi mesi, il primo test elettorale è andato più che bene, le opposizioni sono talmente divise e litigiose da diventare inoffensive: perché farsi del male da soli?

Però è un fatto che le contraddizioni della coalizione emergono ad ogni passo e solo con fatica si riesce a soffocarle per un po’. Come sul Superbonus edilizio, colpito a morte dal decreto dei giorni scorsi. Se è stata dura la reazione degli operatori, delle imprese, delle famiglie e degli enti locali, quella di Forza Italia è stata a dir poco furibonda. Il pur cauto ministro Tajani ha dichiarato che un correttivo profondo al decreto è indispensabile e il suo collega Mulè – appartenente all’ala più filo-leghista degli azzurri – è arrivato alla rissa e agli insulti con FdI. E così, surriscaldandosi troppo i toni, la presidente del Consiglio ha convocato un vertice con le imprese (tenutosi ieri) dichiarandosi aperta a possibili modifiche del decreto nel confronto in Parlamento. E infatti proprio ieri sera i rappresentanti dei costruttori (Ance) si dichiaravano soddisfatti per certe modifiche da loro auspicate e che il governo ha accolto positivamente. Insomma, il nodo politico si potrebbe sciogliere contemporaneamente a quello del consenso: se la frase di Giorgia Meloni «il Superbonus è costato duemila euro a italiano, neonati e affittuari compresi» arriva e non arriva all’opinione pubblica, viceversa gli effetti concreti dello stop al Superbonus piovono fulmineamente sui componenti dell’enorme settore edilizio e sulle famiglie e i condomini che hanno avviato lavori che ora non sanno come completare. Quindi una partita elettoralmente assai più importante di quella, trattata con ogni riguardo, che tocca gli interessi degli imprenditori balneari: tutto consiglia la calma e il freno agli istinti più bellicosi. Berlusconi ha recepito il messaggio.

Ma se in politica sociale un compromesso si può sempre raggiungere, sulla guerra tutto è assai più complicato. Nelle prossime ore Meloni vedrà Zelensky a Kiev, gli ribadirà l’impegno italiano a sostenere l’Ucraina e molti prevedono che annuncerà l’invio di alcuni caccia, forse cinque. Quindi un gesto molto impegnativo del governo di centrodestra di Roma che trova il consenso degli alleati (ieri il faccia a faccia della premier con il premier polacco Morawiecki a Varsavia) ma che finirà per irritare chi nella maggioranza ogni volta che può frena sull’aiuto agli ucraini in guerra contro l’armata di Putin: Berlusconi e Salvini non si sono mai differenziati nei voti parlamentari in materia, ma nemmeno nascondono i loro rapporti con Putin e il suo partito. Berlusconi su questa posizione è arrivato persino ai ferri corti con i suoi amici tedeschi del Ppe, alcuni dei quali pensano addirittura di escludere o almeno sospendere Forza Italia dalla famiglia conservatrice europea.

Risultato: più Meloni spinge sulla linea atlantista pro-Kiev, più gli alleati entrano in fibrillazione e, almeno nel caso di Berlusconi, finiscono con le loro parole per mettere in difficoltà palazzo Chigi.

Ultima faccenda, non proprio secondaria: ieri Salvini ha fatto capire che non farà sconti quando si tratterà di decidere i vertici delle grandi aziende di Stato in scadenza a breve. Il leader della Lega ha messo nel mirino Eni ed Enel e il messaggio alla premier è chiarissimo: non potrai decidere tutto da sola. La partita delle nomine potrebbe diventare molto calda già nei prossimi giorni.

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