Sull’Ucraina l’Europa si divide ed evapora

MONDO. Avevamo sottolineato, provando ad anticiparne i temi, che in ogni caso sarebbe stato difficile chiamare «europeo» il summit convocato a Parigi da Emmanuel Macron.

Sia perché l’Europa comunitaria era scarsamente rappresentata (era presente Ursula von der Leyen, presidente della Commissione, ma solo sei dei 27 Paesi Ue), sia perché gli scranni occupati dalla Gran Bretagna e dalla Nato spostavano il discorso su altri piani. E che anche per questo era difficile attendersi risultati clamorosi. L’andamento dei lavori, però, ha mostrato una realtà ancor più dura da accettare. E cioè che l’assalto frontale portato da Donald Trump e dai suoi alla già complessa relazione tra le due sponde dell’Atlantico, ha messo in mostra tutte le crepe interne all’Europa stessa, che in questi anni era riuscita a mascherarle con la solidarietà all’Ucraina ma che ora, costretta dalle accelerazioni Usa a esporsi e a prendere posizione, non riesce o non può più fingere.

Il ruolo della Gran Bretagna

Alla vigilia dell’incontro parigino la Gran Bretagna di Keir Starmer si era detta disponibile a inviare truppe in Ucraina come «garanzia di pace». Un assist a Zelensky, che non cessa di chiedere il coinvolgimento europeo nelle trattative con Usa e Russia, ma anche una zeppa nei piani di Trump, che non può certo presentare a Vladimir Putin la notizia dell’arrivo di un corpo di spedizione inglese. Per le stesse ragioni l’idea era stata sposata da Macron, sia pure in forma mitigata: non più una «garanzia» occidentale in armi per gli ucraini ma una forza di pace per incentivare il rispetto di un eventuale cessate il fuoco. Ed è su questo punto che sono saltate fuori le spaccature della Ue.

L’idea, infatti, nell’una e nell’altra forma, è stata respinta senza esitazioni sia dalla Germania sia dalla Polonia. Ci si è messa anche la Spagna, che furbescamente l’ha definita «prematura» visto che la pace è ancora lontana. Ma è chiaro che i pezzi da novanta sono Berlino e Varsavia. I due siluri contro la proposta Starmer-Macron, peraltro, hanno valenze diverse.

La posizione della Germania

Il cancelliere tedesco Scholz ha in mente le elezioni del 23 febbraio e cerca in ogni modo di togliere argomenti alle destre che da lungo tempo, sull’onda del malcontento sociale, lo attaccano sulla politica di aiuto all’Ucraina. Scholz nel 2024 non ha voluto concedere a Kiev i missili Taurus, a inizio 2025 ha bloccato un pacchetto di aiuti del valore di tre miliardi e ieri, a Parigi, ha detto no pure alle truppe, che fossero di garanzia o di peacekeeping.

Il no della Polonia

Di tutt’altro carattere il no della Polonia. È chiaro che Varsavia (come i Baltici e il Nord Europa) non vuole incrinare il rapporto privilegiato con gli Usa. Se Trump troverà un accordo per il cessate il fuoco, che sia. La ricetta del premier Tusk non sta nel mandare a monte un eventuale negoziato a trazione Usa ma nel costruire un vallo antirusso basato sull’aumento collettivo delle spese per la difesa in Europa. È questo il metodo polacco per fornire all’Ucraina le tanto sospirate «garanzie di sicurezza», in linea tra l’altro con il monito della Casa Bianca, che invita gli europei a spendere di più in armamenti e a proteggersi da soli. Un discorso che calza a pennello sulla Polonia, che sta costruendo l’esercito più potente del continente e per la difesa già spende quasi il 5% del Prodotto interno lordo. E che si sente in qualche modo leader.

Tutte le capitali europee ripetono il mantra «nessuna decisione senza Kiev». È giusto ma Zelensky ha già detto che il bastione della resistenza ucraina sono gli Usa, non l’Europa

Qual è dunque la morale della favola? Purtroppo che per l’ennesima volta, di fronte a una grave crisi internazionale (che non è solo la guerra in Ucraina ma anche questa specie di reset tra potenze con l’incontro tra Trump, Putin e Xi Jinping che sembra alle viste), l’Unione Europea tende a evaporare. Il silenzio di questi giorni dell’alta rappresentante per la Politica estera, l’estone Kaja Kallas, e del commissario alla Difesa, il lituano Andrius Kubilius, non è un bel segnale. Tutte le capitali europee ripetono il mantra «nessuna decisione senza Kiev». È giusto ma Zelensky ha già detto che il bastione della resistenza ucraina sono gli Usa, non l’Europa. Che abbia torto o ragione, ciò significa che Trump ha moltissimi «argomenti» per convincerlo a trattare. Ed è quindi più che possibile che una decisione venga comunque presa. Con Kiev ma senza Bruxelles.

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