Sull’aborto prevale
la libertà di coscienza

Liquidarla come l’ennesima bega politica, oltretutto interna al Pd, sarebbe pericoloso. Una bufera di reazioni indignate ha investito Carla Padovani, capogruppo dei dem al Consiglio comunale di Verona. La colpa è aver votato una mozione della Lega sull’aborto: non lo avesse mai fatto. Nel giro di poche ore la notizia ha fatto il giro del web e Padovani è stata presa di mira dal fuoco amico. Il segretario del Pd Maurizio Martina ha bollato il voto come «un grave errore perché non si può tornare al Medioevo», il candidato alla segreteria Nicola Zingaretti ha invocato un «no ai colpi di mano contro la 194». L’ex ministro Andrea Orlando ha chiesto, come gli altri consiglieri comunali dem, le dimissioni della capogruppo, mentre le altre consigliere del Pd veronese l’hanno sfiduciata. Insomma è un coro unanime di censure: è da tempo che non si vedeva un Pd così compatto.

Ma cosa dice la tanto abiurata mozione? Non chiede di abolire la legge 194 né di limitare la libertà delle donne. Viene invece richiesto al Consiglio di comunale di impegnare la Giunta affinché reperisca fondi per applicare tre articoli della legge 194 (1, 2 e 5) a sostegno delle associazioni di volontariato che aiutano le donne a superare le cause, come quelle economiche, che potrebbero indurre all’interruzione di gravidanza. Attraverso realtà come i Centri di aiuto alla vita, centinaia di neonati vedono la luce in Italia grazie ad un sostegno alle madri, non libere di scegliere perché in condizioni di povertà.

A difesa della capogruppo dem abiurata è intervenuto il sindaco di Verona, Federico Sboarina (centrodestra), per il quale «tutti quelli che hanno parlato della mozione o non sanno leggere o non l’hanno letta, o sono in malafede. Personalmente propendo per quest’ultima, visto che il documento parla d’altro. È una enorme strumentalizzazione».

Sorpresa degli attacchi si è detta ovviamente Carla Padovani, cattolica proveniente dall’esperienza politica della Margherita poi confluita nel Pd: «Ho votato sì perché sono favorevole a qualsiasi iniziativa a sostegno della vita, che può essere in questo caso sostegno della vita nascente oppure dell’immigrazione». Fin qui niente di nuovo: è solo la conferma di un giudizio appunto cattolico.

Ma il punto centrale di tutta la vicenda, che non compare nei tanti commenti, è la libertà di coscienza su un tema eticamente sensibile, alla quale la (ex?) capogruppo dem si appella. Difesa peraltro proprio dal codice etico del Pd, redatto nel 2008, dove all’articolo 2 è scritto: «Le donne e gli uomini del Partito democratico riconoscono che il pluralismo, in ogni sua espressione, è una ricchezza. Difendono il principio di laicità della politica nel rispetto della libertà di coscienza. Si impegnano perché le differenze, di ogni tipo, non siano di ostacolo alla partecipazione e non si producano ingiuste esclusioni e sia contrastata ogni forma di ingiusta discriminazione».

Se la libertà di coscienza non vale per il tema della vita, per quali principi dovrebbe avere prevalenza? La massa di reazioni contrarie al voto di Carla Padovani fa pensare a un riflesso condizionato, a incrostazioni ideologiche delle quali la sinistra fatica a liberarsi. E sì che ne sono passati di anni da quando, nel 1975, un grande intellettuale di sinistra, Pier Paolo Pasolini, con un articolo sul «Corriere della Sera», da una posizione laica si espresse contro il referendum per la legalizzazione dell’aborto proposto dal Partito radicale. Una contrarietà argomentata, che valse a Pasolini l’abiura e l’accusa di essere reazionario da parte di altri intellettuali della stessa area politica, facendo strame della libertà di coscienza.

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