Sul terzo mandato serve confronto non trucchi

ITALIA. Partita chiusa. Anzi ancora più aperta ma su fronti tutti interni ai partiti. La Corte Costituzionale ha bocciato la legge della Regione Campania che consentiva al governatore (ok, non è il termine corretto, può piacere o meno, ma nell’immaginario collettivo rende assai) di candidarsi per il terzo mandato consecutivo.

Una norma fatta su misura per Vincenzo De Luca, già sindaco di Salerno e per due volte di fila eletto alla presidenza della Regione con percentuali bulgare. Ma di riflesso la decisione ha effetti immediati anche qualche centinaio di chilometri più a Nord, in quel Veneto guidato senza sosta da Luca Zaia dal lontano 2010. Perché il «Doge» (come lo chiamano i fedelissimi) il terzo mandato lo sta concludendo e puntava dritto al quarto. Il trucco c’è e si vede benissimo: la legge sul doppio mandato è stata recepita nell’ordinamento veneto solo nel 2012 e quindi in Veneto hanno deciso che il limite scattasse dalla legislatura successiva a quella allora in corso. Ergo, dal 2015. Anche De Luca ha tentato quella strada considerando che la medesima legge è entrata nell’apparato legislativo campano solo lo scorso novembre, ma davanti al ricorso del Governo Meloni la Consulta ha deciso di metterci un punto. Quanto meno necessario, sia dal punto di vista giuridico che da quello meramente politico.

La decisione della Suprema Corte

Cominciamo dal primo: al di là di tutte le interpretazioni possibili il pronunciamento della Suprema Corte mette (o almeno dovrebbe farlo) chiarezza sul rapporto tra le diverse fonti legislative dell’ordinamento nazionale. Nel pieno rispetto delle potestà delle Regioni, l’inquadramento generale spetta allo Stato e trucchi e trucchetti non dovrebbero essere consentiti: due mandati e stop come da normativa vigente, idem per i sindaci sopra i 15mila abitanti. Almeno fino a nuovo ordine.

Politicamente parlando ora si apre un fronte tutto interno ai partiti di ambo le coalizioni visto che il problema è bipartisan: il centrosinistra in Campania non era orientato a supportare De Luca alla ricerca del tris così come il centrodestra resta diviso sull’ipotesi di un poker di Zaia, seppure per ragioni differenti. Se a Sud i dubbi sono sul profilo del governatore, a Nord è esclusivamente un problema di natura politica. Fratelli d’Italia, voti alla mano, è assolutamente intenzionata a salire sul gradino più alto del Veneto e la questione potrebbe riproporsi pari pari nel 2028 in Lombardia, anche se appare difficile che le truppe meloniane possano impadronirsi di entrambe le Regioni. La Lega non intende mollare facilmente e la questione rischia di avere strascichi a livello nazionale, ma dal punto di vista meramente giuridico FdI si ritrova con un ulteriore vantaggio che va a sommarsi a quello del consenso: ora si tratta di farlo valere sul piano delle trattative.

Le domande aperte

È comunque indubbio che la decisione della Corte porti con sé un paio di domande, e forse la risposta giusta non c’è. La prima: è normale che lo stop al terzo mandato non valga per le Regioni a Statuto speciale? A maggior ragione in un Paese che a piccoli (incerti...) passi si starebbe avviando sulla strada dell’autonomia differenziata? La seconda, è giusto limitare la durata di determinati incarichi a due soli mandati? Se portati alla scadenza naturale vogliono comunque dire dieci anni, non pochi per maturare una certa competenza politica da impiegare, nel caso, altrove, evitando il rischio di creare rendite perenni di posizione, se non autentici feudi. Ma è anche vero che l’Anci, l’Associazione dei Comuni italiani, non più tardi di due anni fa nel 30° della legge che ha introdotto l’elezione diretta dei sindaci, ha chiesto di cancellare i limite dei due mandati a ogni livello, per favorire ulteriormente il rapporto di fiducia tra eletti ed elettori. Tema che sulla carta vale anche per le Regioni. Sono posizioni entrambe legittime e che per questo necessitano di un confronto serio, non di scorciatoie né tantomeno trucchetti.

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