L'Editoriale
Giovedì 09 Gennaio 2025
Sui conti un nuovo incubo energetico
ITALIA. La gravità della questione energetica nel nostro Paese sta tornando a diventare emergenza e ripropone il tema della mancanza cronica di una politica di settore, sostituita da referendum episodici, per loro natura emotivi.
La previsione 2025 per una famiglia - secondo Nomisma - è oggi di +135 euro per l’elettricità e +230 euro per il gas. Per i servizi tutelati degli utenti fragili c’è addirittura la beffa di un +18,5. Per le imprese, da sempre a +30% rispetto ai loro concorrenti europei, qualunque aumento ipotizzato supererebbe l’asticella della sopportabilità. Solo per la ceramica, il gas oggi a 50 euro costa 200 milioni in più. Abbiamo tutti memoria di un costo che è schizzato con l’invasione dell’Ucraina a più di 300. Può ancora scappare di mano per l’incertezza geopolitica, che coinvolge persino la Groenlandia.
L’indipendenza energetica è vitale per l’Europa e ancor più per l’Italia, che ha oggettivamente fatto grandi progressi con le rinnovabili (anche a costo di incentivi miliardari, ultimo il bonus edilizio) ma dipende sempre dal prezzo del gas che compra
I rimedi strutturali necessari sono lentissimi, sia per ragioni di tempistica tecnica che per ostacoli politici ed ideologici. Nell’immediato, si può solo tamponare l’emergenza, con interventi non di mercato come il tetto imposto al prezzo o, meglio, con acquisti europei centralizzati (modello Covid). L’indipendenza energetica è vitale per l’Europa e ancor più per l’Italia, che ha oggettivamente fatto grandi progressi con le rinnovabili (anche a costo di incentivi miliardari, ultimo il bonus edilizio) ma dipende sempre dal prezzo del gas che compra. E pensare che avremmo abbondante gas nazionale da estrarre, ma abbiamo deciso di farne a meno nel 2016 con un applaudito referendum. Così siamo in balia dell’istinto di sopravvivenza dell’Ucraina, che ha bloccato a Capodanno il transito del gas russo che finanzia la guerra, dei ricatti di Putin e a breve anche di quelli di Trump: se non paghiamo la Nato vuole obbligarci a comprare il suo gas, che viaggia su navi per migliaia di km. Finiti i tempi felici del carburante a buon prezzo del Cremlino (e quindi dello spensierato «no trivelle»), frutto dell’illusorio buon rapporto Merkel-Putin poi amaramente condannato fino alla demonizzazione della cancelliera.
Il paragone con la Spagna
Con la prima crisi del 2022 noi italiani siamo riusciti a cavarcela ma non è detto che questo possa ripetersi. Abbiamo superato la sudditanza dalla Russia (più del 40%, oggi 5%) perché abbiamo l’Eni e la Snam, che hanno rapidamente modificato il mix, rivolgendosi peraltro a nuovi fornitori, tutti oggi amichevoli ma non proprio affidabili (vedi Algeria). Le fonti per fortuna sono molto diversificate. Una di queste è semplicemente di buon senso, cioè il completamento del tubo Tap che arriva in Puglia tra ulivi, salvati e trapiantati, che sono sopravvissuti alla xilella e soprattutto alle «affettuosità» di un ambientalismo tutto politico delle intese tra il governatore locale e i 5 Stelle. In secondo luogo, siamo riusciti a far attraccare le navi della rigassificazione persino nella Piombino sorella d’Italia. Da qui arriva il gas che fa quadrare i conti per un quarto del nuovo mix totale. La Spagna sta molto meglio di noi in termini energetici proprio perché ha puntato per tempo su questa scelta. E la Germania ha programmato dieci nuovi scali. Ma quella è stata la prima emergenza. Se ne arriva ora un’altra, l’Italia continua ad essere strutturalmente e culturalmente quella che 40 anni fa si fregiò della «virtù» di abolire il nucleare, in verità poi comprato alla grande dalle centrali ai nostri confini. Occorre rompere l’inerzia. Rivedere incentivi insensati per fonti energetiche ormai ammortizzate e per impianti che arricchiscono solo i fabbricanti cinesi. Ma soprattutto occorre prendere coraggio e affrontare il tabù del nucleare, oggi gestibile nelle piccole dimensioni e molto più sicuro, unica fonte di decarbonizzazione disponibile.
Con la prima crisi del 2022 noi italiani siamo riusciti a cavarcela ma non è detto che questo possa ripetersi. Abbiamo superato la sudditanza dalla Russia (più del 40%, oggi 5%) perché abbiamo l’Eni e la Snam, che hanno rapidamente modificato il mix, rivolgendosi peraltro a nuovi fornitori, tutti oggi amichevoli ma non proprio affidabili (vedi Algeria)
E infine far saltare l’algoritmo europeo che accoppia il prezzo elettricità-gas, venduto alla pari anche con costi di produzione notevolmente diversi. Insistere sulle rinnovabili va benissimo, ma non in modo acritico, perché vento e sole ci sono solo quando vuole la natura, e alle loro spalle occorre continuità. A livello mondo, giganteggia ancora il carbone. E da noi è sempre in gran spolvero, anche se non si dice.
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