Sugli esteri Meloni chiude le falle

MONDO. C’è voluto un vertice a Palazzo Chigi per cercare di rimettere in riga i partiti di una coalizione che nell’ultima settimana è riuscita a dividersi furibondamente sulla politica estera, la guerra, l’Europa e l’America.

Giorgia Meloni che, insieme ad Antonio Tajani, misura tutta la difficoltà di timonare nelle acque agitate e pericolose che il voto degli elettori le ha dato da affrontare, ha chiamato a raccolta il suo ministro degli Esteri, quello della Difesa Guido Crosetto e soprattutto Matteo Salvini. Motivo: mettere a punto una posizione comune in vista del vertice dei «volenterosi» convocato a Parigi da Macron e Starmer. Ma anche ammonire i suoi alleati che, continuando a litigare così, prima o poi si va a sbattere. A litigare sono Tajani e Salvini ma è soprattutto Salvini che, da ultimo con la telefonata al vice di Trump, JD Vance (proprio qualche giorno prima della clamorosa gaffe delle mail di segreti militari Usa spedite ad un giornalista), si prende sempre più libertà d’azione per proclamare ad ogni angolo il suo stare dalla parte di Trump contro l’Europa dei Macron che lui disprezza, e dalla parte di una pace in Ucraina che Zelensky dovrebbe accettare senza troppo mettersi a protestare.

Le sortite di Salvini

Tajani si è più volte infuriato per queste posizioni del ministro dei Trasporti, ma è Meloni che da premier ha detto «adesso basta». Sembrava che la presidente del Consiglio fosse disposta ad aspettare il congresso della Lega fissato per il 6 aprile e a lasciar perdere le sortite di Salvini comprendendo che sono a uso e consumo del suo partito e del suo elettorato. Ma evidentemente gli impegni premono e quindi il vertice di ieri è servito a rimettere ordine intorno ad una posizione unitaria che suona così: l’Italia considera prematura l’idea di mandare soldati europei in Ucraina se non altro perché ancora non c’è l’accordo per un cessate il fuoco anche solo parziale. Ma quand’anche si decidesse di spedire un contingente di soldati in Ucraina, l’Italia potrebbe aderire solo se la missione fosse dell’Onu e quindi non vedesse la partecipazione di soli europei (che Putin assolutamente rifiuta) ma pure di Paesi di altri continenti. L’Italia inoltre potrebbe accettare di mandare propri soldati anche in una missione che ottenesse il «placet» delle Nazioni Unite e si articolasse in ambito Nato.

Il vertice all’Eliseo

In sostanza è questo che Giorgia Meloni andrà a dire oggi agli alleati che si vedranno all’Eliseo, confermando che su questa posizione si ritrova l’intero governo italiano composto da partiti che aderiscono a tre gruppi diversi del Parlamento europeo: i Popolari di Tajani, i Conservatori di Meloni e le destre di Salvini. Indubbiamente questo metterà al riparo la premier da critiche che potrebbero arrivare soprattutto da parte francese visto che i nostri cugini sono i più sospettosi nei confronti della vicinanza della destra italiana alle posizioni di Trump. Quindi calma almeno fino al 3 aprile, quando si vedrà chi davvero in Europa sarà colpito dai dazi decisi (per meglio dire: annunciati) da Trump e si capirà se l’Italia avrà ottenuto davvero un trattamento di favore rispetto agli altri partner.

I dazi e la loro applicazione

Per il momento dunque la navicella governativa può riprendere la sua navigazione avendo chiuso temporaneamente le falle. E non è un caso che ora si parli insistentemente di rinviare alla primavera del 2026 le elezioni in cinque regioni (Campania, Puglia, Veneto, Marche, Toscana) che erano inizialmente previste per il vicino ottobre. Più si allontana la conta tra alleati, più il clima si può distendere. Nell’attesa che Salvini si faccia incoronare ancora una volta leader della Lega, alla faccia dei mormorii dei suoi avversari e delle incerte fortune elettorali del Carroccio.

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