Suez, nuovi mercati e vecchi giocatori

L’ingorgo navale di Suez, l’apertura della rotta sotto al Polo Nord lungo la Russia grazie ai cambiamenti climatici, la volontà del turco Erdogan di costruire un canale in alternativa al Bosforo, l’accordo per la nuova «Via della Seta» cinese verso l’Europa sono tutti eventi che potrebbero condizionare il futuro post pandemico. Siamo all’alba di un mutamento nelle rotte del commercio globale? E, a seconda delle scelte che si faranno, quali potrebbero essere le ripercussioni geopolitiche? In passato il dominio dei commerci era legato alla superpotenza militare ed industriale del tempo: è stato così con l’impero britannico nell’Ottocento, poi con gli Stati Uniti nel Novecento. Muterà il quadro di riferimento?

Nel Cinquecento l’asse del mondo si spostò verso Occidente: il commercio mediterraneo perse importanza rispetto a quello atlantico che ha mantenuto lo scettro fino a quasi i giorni nostri. I primi anni del 21° secolo hanno segnato uno spartiacque con il prepotente inserimento dell’area Asia-Pacifico. Adesso i dati certificano che la pandemia rafforzerà tale tendenza. Con la globalizzazione i numeri sono fondamentali. I mercati sono fatti da persone, che - oggi ad Oriente uscite dalla povertà a centinaia di milioni - sono diventate consumatrici. A Pechino, e non più a New York, vi è il più alto numero di «ricconi» al mondo.

Leggere il valore e la composizione merceologica delle importazioni in Asia-Pacifico aiuta a comprendere tante cose. L’aspetto finanziario è ugualmente centrale. Nel 2020 la Cina ha preso il posto degli Stati Uniti come primo partner globale dell’Unione europea ed è sempre più un punto di riferimento per i Paesi del suo continente anche a causa del disastroso «America first» dell’Amministrazione Trump. Inoltre sono sempre più numerose le aziende europee a fare maggiori profitti nell’ex «Impero Celeste» rispetto che a quelli negli Usa. Ma attenzione: questioni legate ai costi (nel caso dei trasporti), ai dazi o alla politica possono incidere sulle scelte. «Se fosse sicura la rotta artica chi passerebbe più da Suez per andare in Nord Europa?», ci è stato detto da un broker italiano.

Ad un certo punto, per il crollo del prezzo del petrolio dopo lo scoppio della pandemia stava diventando più conveniente circumnavigare l’Africa. E cosa succederebbe con l’invenzione di navi a Lng o ad idrogeno? Il problema è che, a parte le questioni connesse con la navigazione sulla magistrale artica, la Russia acquisirebbe ulteriore valore geostrategico. Lo stesso sarebbe per il canale Istanbul - costruito ufficialmente per ragioni ecologiche e commerciali ma al di fuori della Convenzione di Montreux del 1936 - che cambierebbe gli equilibri nell’area: all’improvviso Mosca potrebbe trovarsi il mar Nero pieno di navi della Nato. Washington, però, non è disposta a cedere il primato.

A parte che gli Stati Uniti si affacciano sul Pacifico e detengono una quota notevole dell’innovazione tecnologica globale, sono una superpotenza, poiché hanno un sistema integrato fra la propria economia e il controllo degli oceani attraverso la loro flotta. Hanno poi un mercato di capitali capace di influenzare qualsiasi decisione. Cosa che fa anche la sua politica mercantile: se verso l’Europa si viaggia dalla Cina ormai su mega-navi super container, le quali costringono gli Stati Ue ad investire nell’edificazione di nuovi carissimi porti, verso le sue destinazioni servono imbarcazioni più piccole. In conclusione: i nuovi mercati avanzano, ma i vecchi giocatori resistono con contromosse, forti della loro posizione ancora dominante.

© RIPRODUZIONE RISERVATA