L'Editoriale
Venerdì 27 Dicembre 2019
Spettro elezioni
anticipate
Le dimissioni natalizie del ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti stanno provocando polemiche tra chi ne apprezza la coerenza (aveva minacciato da subito di andarsene se non avesse ottenuto almeno tre miliardi di fondi in più per la scuola) e chi invece lo critica per esser venuto meno alle sue responsabilità. Polemiche che si placheranno quando Conte avrà nominato il successore che sarà, secondo le indiscrezioni, Nicola Morra, in quanto – si presume – insegnante di scuola (anche se su Twitter ha dimostrato una certa confusione tra Pirandello e Verga).
Quel che invece conta, se si ragiona sulla tenuta del governo, è il fatto che lo stesso Fioramonti fa sapere che andrà ad organizzare un gruppo di parlamentari fuoriusciti dal Movimento ma disposti a sostenere Giuseppe Conte «da sinistra». Un ulteriore segnale della disgregazione del Movimento Cinque Stelle che si sta accentuando man mano che si avvicina il mese di gennaio che si annuncia particolarmente difficile per il governo e la sua maggioranza: elezioni in Emilia Romagna, esordio della riforma della prescrizione, data limite entro cui presentare le firme per il referendum contro la diminuzione dei parlamentari, votazione in Giunta al Senato sul caso Salvini-Gregoretti.
Il M5S, che è tuttora il partito di maggioranza relativa e dunque dovrebbe sostenere l’equilibrio politico che sorregge il Conte-bis, affronterà queste montagne russe con parlamentari che se ne vanno verso la Lega, altri che si auto-organizzano in un gruppo fedele a Conte, altri ancora che non nascondono di volersi trasferire armi e bagagli al Pd. Ciò che sta provocando questa crisi del movimento non è soltanto la debole leadership di Luigi Di Maio, che potrebbe essere contesa proprio dal presidente del Consiglio, e nemmeno il venir meno di alcuni «ideali» grillini messi alla prova dalle necessità del governo. Ma è anche il fatto che gli attuali deputati e senatori grillini sanno che meno della metà di loro potrà rivedere Palazzo Madama e Montecitorio dopo le prossime elezioni. Il panico provoca una disordinata agitazione dei possibili, futuri esclusi: chi cerca di salvarsi in un modo, chi in un altro.
La prospettiva delle elezioni anticipate non è così astratta in questo momento. Abbiamo detto che a gennaio, il 12 per l’esattezza, scadono i termini per il referendum sulla riforma taglia-parlamentari. Se le Camere fossero sciolte anticipatamente e si votasse prima del referendum, si eleggerebbero deputati e senatori nel numero previsto dalla Costituzione e non dalla sua riforma. Dunque 945 poltrone e non 600: c’è una bella differenza. Questo potrebbe aumentare la tentazione di far cadere il governo giallo-rosso e provocare la fine della legislatura soprattutto tra i parlamentari del partito che rischia di più, cioè il M5S, il cui vertice al contrario cerca di resistere il più a lungo possibile nei ministeri proprio per non affrontare elezioni prevedibilmente disastrose. Un bel rebus.
C’è poi la variante delle elezioni in Emilia Romagna. Se le vincesse Salvini, nel Pd riprenderebbero fiato quelli che sostengono che l’alleanza con i grillini è mortale e che va rotta subito, senza indugio. Se invece l’assalto leghista alla roccaforte rossa fallisse, Zingaretti ne avrebbe un motivo per essere confortato nella sua linea.
Come il lettore capisce, dunque, il 2020 ci porterà, politicamente parlando, soprattutto tanta confusione. Bisognerà vedere come, in queste penose condizioni, si potranno affrontare i problemi più urgenti che affliggono il Paese: Ilva, Alitalia, crisi industriali, economia in stallo, guerra in Libia...
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