Sostegno europeo ma Putin
non cede

Bisogna essere in due a volere la pace, che, di solito, si fa con i nemici. Il problema di fondo è che chi ha provocato la presente tragedia all’Est - non lo si dimentichi, per ragioni ideologiche sognando la rinascita di un impero - non ha raggiunto gli obiettivi postisi alla vigilia della «campagna militare speciale». Uscire pertanto dal pantano ucraino non sarà affatto facile, nonostante si possano aprire delle finestre temporali in cui le parti in causa siano capaci di intravvedere una qualche convenienza, almeno per un cessate il fuoco.

L’importante è, però, che nel frattempo si costruiscano le condizioni psicologiche, militari, politiche e diplomatiche, affinché si faciliti la creazione del raggiungimento delle condizioni per iniziare a negoziare. La visita a Kiev di Draghi, Macron e Scholtz, i tre maggiori leader dell’Unione europea, è da inquadrarsi in questa ottica. Il segnale, trasmesso alla comunità internazionale, è fortissimo: i Ventisette sono della partita e stanno con l’Ucraina. Ma attenzione: nella mentalità russa chi è pronto a fare concessioni viene etichettato come un debole. Ecco la ragione per cui, fin dalla Guerra fredda, Mosca ha sempre considerato gli Stati Uniti come unico interlocutore dell’Occidente.

Adesso il trio Ue ribadisce che l’Europa continuerà a fornire armi agli ucraini e il messaggio sarcastico dell’ex presidente russo Medvedev contro i tre leader Ue in visita da Zelensky è il classico segnale di chi non se l’aspettava. Ma sono tanti i conti sbagliati dall’Amministrazione Putin, che, malgrado la mistifichi, conosce perfettamente la storia del proprio Paese e i rischi a cui essa va incontro. Ogni qual volta uno zar non ha vinto una guerra, ha visto la propria sorte segnata; se domani si fermassero le operazioni belliche il Cremlino si troverebbe a dover gestire la situazione interna come primo punto dell’agenda politico-economica di un Paese soggetto a pesantissime sanzioni straniere e in pratica buttato fuori dalla globalizzazione. Apriti cielo. La riduzione delle forniture di gas a Germania e Italia va letta nella solita abitudine di alzare la posta in gioco per intimorire gli avversari come quando, in alcuni frangenti di tensione, vengono lanciati missili intercontinentali.

Draghi, Macron e Scholtz intendono portare al futuro negoziato uno Zelensky che dovrà battere i pugni sul tavolo se vorrà evitare di avere un secondo «conflitto congelato», irrisolto in casa per anni, dopo quello del 2014, sapendo bene che l’obiettivo finale di Putin è di smembrare l’Ucraina e di levarle lo sbocco sul mar Nero dopo quello sul mare di Azov. Il trio europeo si rende però conto che Zelensky dovrà comunque, in un primo momento fare delle concessioni al Cremlino se il Donbass dovesse cadere. E solo la sicura futura adesione all’Unione europea potrebbe consolare l’opinione pubblica ucraina dopo lo spaventoso spargimento di sangue e gli immani disastri sopportati.

Se, a breve, dovessero essere conquistate Severodonetsk e le aree circostanti, il Cremlino potrebbe annunciare la fine della «messa in sicurezza» del Donbass e della Crimea con il controllo del canale di Kherson. Ecco per Mosca la finestra temporale che si aprirebbe. Anche perché, a giudicare dalle notizie dal fronte, arrivare oggi fino ad Odessa non pare possibile. E comunque l’aumento del prezzo delle materie prime ha garantito enormi proventi in valuta, prima che l’Occidente - prossimamente - si affranchi o riduca sensibilmente la sua dipendenza energetica. In presenza di tale situazione, per guadagnare tempo, la Russia - a questo punto - tenterà di «ammorbidire» il fronte avversario anche con qualche gesto di buona volontà. Ma non ci si faccia troppe illusioni: finché Putin avrà qualche carta in mano da giocare non tratterà o porrà condizioni capestro, come già fatto in autunno-inverno ‘21. Di qui la convinzione, espressa recentemente da Mario Draghi, di dover mettere l’Ucraina in una posizione da poter intavolare un negoziato «accettabile», anche con chi detiene un cospicuo arsenale atomico. L’aver tracciato delle linee rosse - no ad uso di armi nucleari e chimiche - da parte dell’Occidente è l’unica garanzia in grado di evitare una catastrofe mondiale.

In ultimo, la guerra all’Est è ora uno scontro convenzionale, soprattutto di artiglieria. Se arriveranno alla fine i cannoni americani con gittata maggiore di quelli russi, le sorti del conflitto potrebbero cambiare. L’Amministrazione Biden, lo si sa, non è favorevole a negoziati parziali come quello che potrebbero ispirare gli europei. Ma un tentativo di fermare il presente spargimento di sangue va fatto, non dimenticandosi, però, di chi si ha davanti.

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