Soltanto la crescita
abbassa il debito

Èdifficile credere che il piano di ricostruzione dell’Ue con un bilancio di 750 miliardi di euro rimanga solo uno strumento di crisi una tantum. Non ci crede più nemmeno la Corte dei Conti tedesca. In un rapporto dell’11 marzo lancia l’ allarme. I rischi del pacchetto di salvataggio europeo, ovvero del piano di ripresa e resilienza, sarà un salasso per il contribuente tedesco. Secondo i revisori di Bonn, il Recovery Fund dell’Ue è un gigantesco trasferimento a favore degli Stati debitori. Sono circa 145 i miliardi di euro che passerebbero dai Paesi finanziariamente forti, vedi Germania, e ai beneficiari netti, Italia in testa.

In questo contesto Berlino è il più grande contribuente netto al fondo di ricostruzione, con più di 65 miliardi di euro. Qual è la paura delle autorità finanziarie e di controllo tedesche? Ormai anche in terra di Germania hanno imparato quello che è una massima italiana: non vi è nulla di più duraturo del provvisorio. In tutte le esperienze, gli strumenti introdotti in tempi di crisi diventano poi permanenti. Ciò che appare sostenibile nel breve periodo a lungo termine può diventare un peso, ma distribuito nel tempo perde impatto e alla fine non ce se ne accorge.

Il debito italiano è lì a dimostrarlo: si è aumentato il carico sulle casse pubbliche senza provvedere a migliorare la crescita. Nel 2005 l’incidenza sul Pil dell’esposizione finanziaria era poco più del 100% nel 2019, prima del Covid, era al 132%. Con questi precedenti la Corte dei Conti tedesca, diventa prudente e sospettosa. Se uno Stato membro non è più in grado o non vuole rispettare i suoi obblighi di pagamento, sono gli altri Stati membri a subentrare e dovranno assumersi la responsabilità della sua parte di debito. Tutto questo ha una sua logica ed à già stato segnalato più volte anche dalla Corte Costituzionale tedesca.

La novità è che adesso non ne parla nessuno. Ciò che prima reclamava vendetta contro gli spreconi del Sud Europa adesso non fa notizia. In piena pandemia chi ha il coraggio di dire: niente soldi agli italiani. Quale politico o opinionista oserebbe alzarsi e negare l’aiuto finanziario a chi ha subito 100 mila morti ed ha percorso la Via Crucis che tutti gli altri Paesi ora vivono come un male comune? La pandemia come pericolo può dividere oppure unire. Il vice presidente della Commissione Ue Frans Timmermann l’ha detto. Cosa sarebbe successo se gli Stati membri fossero andati per la loro strada e avessero fatto la corsa per arrivare per primi a procurarsi le dosi nazionali per il vaccino? Ormai è chiaro anche ai nazionalismi di convenienza, ai propugnatori dell’aridità contabile che un’Europa balcanizzata, del tutti contro tutti o del Nord contro il Sud, dell’Est contro l’Ovest porta alla sconfitta. Questo non impedisce all’Austria di unirsi alla Danimarca e di parlare fuori dal coro a Gerusalemme da Netanyahu. Ma il percorso è tracciato.

Lo sa anche la Corte dei Conti che chiede quindi con urgenza un piano di rimborso e regole fiscali vincolanti, per i debiti dell’Ue. E non c’è da stupirsi. Fino ad ora, l’Ue non ha potuto indebitarsi da sola. Gli Stati nazionali decidono in termini di bilancio in modo autonomo. La Germania non ha mai rinunciato ad avere l’ultima parola in questioni di finanza pubblica. Ma con la pandemia è cambiato il paradigma e il fondo di ricostruzione diventa un modo per gli Stati per prendere prestiti a livello Ue, aggirando le regole fiscali e quindi il controllo degli organismi nazionali preposti. Il Bundestag non avrà più l’ultima parola.

La rivoluzione europea passa sotto traccia e in tempi normali sarebbe in prima pagina. Ma attenzione, il virus prima o poi se ne andrà e il debito rimarrà. Per renderlo gestibile rimane solo una parola: crescita.

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