Solo la fratellanza
può salvare l’Europa

A trent’anni dalla caduta del Muro di Berlino Papa Francesco svela il cortocircuito che ha danneggiato l’Europa. Con poche parole perfette e icastiche nella loro potenza drammaticamente espressiva, parole taglienti e aspre, sabato sera a Iasi, secondo giorno della missione in Romania, Bergoglio ha offerto la misura tragica della perdita dell’entusiasmo del continente e del suo ripiegamento, constatando che oggi vediamo «più trincee che strade». E non solo per via dei nuovi muri di ferro a protezione di identità su vari confini.

Bergoglio denuncia trincee nei cuori e nella politica e la «seduzione di una cultura dell’odio» che ha avvelenato tutti con la sua logica individualista. Ma non si ferma qui e propone un’analisi sulla quale l’Europa, i suoi popoli e i suoi governanti, un’Europa ancora giovane dove il contrappunto tra europeisti troppo dogmatici e antieuropeisti populisti troppo spensierati, dovrebbe riflettere con maggior passione, perché basta poco per inquinare la democrazia. Francesco ha osservato che quella cultura non è «forse più ideologica come ai tempi della persecuzione ateista», ma è addirittura più pericolosa, perché «più suadente e non meno materialista».

Bergoglio inchioda l’Europa davanti allo scivolamento delle sue responsabilità come mai ha fatto finora. Cosa è diventata questa Europa certamente più ricca, ma al prezzo di diseguaglianze aumentate, con la pancia e a volte la testa disturbata dal giogo dei nazionalismi, che sopravvive talvolta come un comitato d’affari di mercanti con una carica di individualismo senza precedenti?

È la domanda che preoccupa il Papa e che lui ha rilanciato nel viaggio in Romania. Il suo timore è che l’Europa torni indietro e abbiano la meglio gli spacciatori d’odio, esattamente come al tempo della Guerra fredda, quando un muro divideva perfino il cielo. Oggi, ha detto a Bucarest, è «una globalizzazione omologante» che contribuisce a «sradicare i valori dei popoli, indebolendo l’etica e il vivere comune, inquinato, in anni recenti, da un senso dilagante di paura che, spesso fomentato ad arte, porta ad atteggiamenti di chiusura e di odio».

Lo scenario non è per nulla rassicurante e a Bergoglio non basta affatto che le elezioni europee abbiano smontato ambizioni populiste e qualche sogno clerico-sovranista. Bisogna cambiare paradigma, lavorare per «nuove opportunità» e su questa via «trasformare vecchi e attuali rancori». Ha richiamato le radici cristiane, ma ha messo in guardia a usarle a sostegno di sovranismi e nazionalismi come è accaduto durante la campagna elettorale in molti Paesi d’Europa. Le radici cristiane servono a rimettere al centro la persona e i suoi diritti, strumento perfetto per tutti che i cristiani offrono a popoli e governi per contrastare il «dilagante potere dei centri dell’alta finanza» e indicare una direzione di marcia.

È un Papa ostinato quello che si è visto in Romania. Continua a ripetere che solo la fratellanza, e non solo la libertà e l’uguaglianza, potrà salvare l’anima dell’Europa. Per la libertà e l’uguaglianza si può scegliere di alzare nuovi muri, nella logica di proteggere il proprio buon senso, la propria sapienza, la propria roba. Insomma vanno bene le trincee. Per consolidare la fratellanza bisogna dirottare energie su altri scenari, costruire strade e opportunità e soprattutto bruciare diffidenze. È la diffidenza che fa perdere lucidità nella ricerca di «nuove vie del futuro d’Europa» e impedisce la costruzione di una società «più inclusiva», la sola che si preoccupa dei più svantaggiati e dell’empatia tra popoli e persone. Il messaggio di Bucarest non può essere equivocato: una società è più cristiana se è «veramente civile».

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