Soccorrere in mare è un dovere non politico

ITALIA. Nell’agosto 2019 la nave umanitaria spagnola «Open Arms» raccoglie nel Mediterraneo 147 migranti che rischiano di annegare.

Viene richiesto un porto di sbarco al nostro Paese ma nello stesso giorno all’imbarcazione è applicato il decreto sicurezza bis e il divieto di entrare in acque italiane. Parte una battaglia legale e per 19 giorni non viene concesso l’approdo, lasciando in mare un carico umano comprendente donne e bambini, al culmine di un viaggio di mesi dal sud del mondo fisicamente sfibrante e denso di rischi. Quando a bordo della nave le condizioni di salute dei migranti si erano aggravate e alcuni di loro iniziavano a buttarsi in mare nel tentativo di salvarsi vedendo la costa vicina, non bastò all’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini (del governo Conte I) per autorizzare lo sbarco, intimando di eseguirlo in Spagna, a 72 ore di viaggio dall’Italia.

Il 20 agosto, dopo diversi trasferimenti di migranti per motivi medici, il procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio sale a bordo della «Open Arms» e decide di disporre lo sbarco e il sequestro preventivo d’urgenza della nave, ipotizzando il reato di abuso d’ufficio. Il giorno stesso la nave attracca a Lampedusa con 83 persone a bordo. Nelle udienze del processo sono stati ascoltati decine di testi, tra cui ministri ed ex ministri: tutti hanno ribadito che la scelta di vietare lo sbarco fu presa da Salvini.

Ieri i pm di Palermo hanno chiesto di condannare a 6 anni di carcere l’attuale ministro dei Trasporti per avere impedito l’approdo sull’isola siciliana, con l’accusa di aver sequestrato le persone a bordo. Immediate le reazioni politiche: «Mi dichiaro colpevole di avere difeso l’Italia e gli italiani, mi dichiaro colpevole di avere mantenuto la parola data» ha detto il capo della Lega. In suo soccorso la premier Giorgia Meloni: «Trasformare in un crimine il dovere di proteggere i confini italiani dall’immigrazione illegale è un precedente gravissimo».

Indecente l’intervento di Elon Musk, l’imprenditore naturalizzato statunitense, proprietario di «X» e di «Tesla», sostenitore di Trump: «Quel pazzo pubblico ministero dovrebbe essere lui quello che va in prigione per sei anni, questo è pazzesco». Lo stile verbale è lo stesso dell’ex presidente degli Usa, in più lo sconfinamento in una vicenda che riguarda un altro Paese.

In attesa della sentenza, andrebbero ribaditi alcuni punti. Non è in discussione il diritto dell’Italia di difendere i propri confini: ma davvero si vuol far credere che persone recuperate in mare, infragilite da viaggi durissimi, tanto più donne e bambini rappresentano un rischio per la sicurezza nazionale? La risposta è sì solo se si accetta la pericolosa equazione «immigrato irregolare uguale portatore di criminalità». Una generalizzazione umanamente e socialmente grave. Il soccorso di chi rischia la vita dovrebbe essere un dovere morale, a prescindere dalle appartenenze politiche. Quel dovere che i pescatori di Lampedusa hanno sempre applicato senza chiedere ai naufraghi da portare in salvo se sono regolari o no: sono innanzitutto persone.

Oggi il Mediterraneo è sguarnito di navi degli Stati costieri per evitare altre morti in mare (3.129 nel 2023, oltre 28mila in 10 anni). La supplenza viene esercitata dalle imbarcazioni delle organizzazioni non governative, la cui azione è intralciata dalle norme del decreto Cutro. E a proposito di Cutro, il paese calabrese sulle cui coste il 26 febbraio 2023 affogarono 94 migranti: dal processo è emerso che dalla barca nel mar Ionio in tempesta fu lanciato un Sos. Ne seguì un rimpallo di responsabilità per l’intervento fra Finanza e Guarda costiera, il tempo passò consumando vite umane. Salvarle non è un reato, è un principio di civiltà, tanto più se ci si professa cristiani.

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