Siri, Salvini
alla stretta finale

Ogni ora che passa diventa più complicato sciogliere il nodo delle dimissioni del sottosegretario leghista Armando Siri. La Lega infatti venerdì 3 maggio, di sera, faceva sapere che il suo uomo non si dimetterà spontaneamente e che nessuno nel partito ha intenzione di «mollarlo» al suo destino. Dunque la questione si dovrà risolvere la prossima settimana in Consiglio dei ministri quando la faccenda sarà posta all’ordine del giorno dal presidente del Consiglio.

Conte, dopo aver tentato vanamente di ottenere un passo indietro spontaneo del sottosegretario, ha dichiarato che Siri deve dimettersi per ragioni obiettive e di opportunità politica. In pratica il premier ha scelto di stare dalla parte dei Cinque Stelle che subito hanno scelto la linea più dura possibile, già da quando il ministro Toninelli revocò le deleghe al suo vice indagato per corruzione. Se ora si va in Consiglio dei ministri, vuol dire dunque che si voterà, e Di Maio ha subito ricordato all’alleato Salvini che i ministri M5S sono la maggioranza e quindi che la faccenda può finire in un solo modo. Secondo Di Maio, Salvini non romperà l’alleanza di governo sotto elezioni per una faccenda che implica le parole «corruzione» e «mafia», ancorché limitate attualmente ad una semplice indagine che non ha ancora portato ad alcun esito.

Se si va alla conta e la Lega viene messa in minoranza il governo è virtualmente in crisi. Non sbaglia Di Maio nel prevedere che Salvini non farà saltare il banco ora, ma di fatto il governo muore nel momento stesso in cui si realizza una tale spaccatura formale. Se muore vuol dire che si arriva alle elezioni del 26 maggio tra polemiche crescenti e poi, dopo il voto, si tirano le conclusioni.

Certo, è vero che il capo della Lega non ha alcun interesse a provocare in queste condizioni una crisi di governo, non può nemmeno fare la figura di quello che è costretto a piegarsi alla volontà altrui: la sconfitta non può appartenere al partito che tutti i sondaggi danno in vertiginosa crescita elettorale, che si appresta a raddoppiare i propri voti e che vuole far mangiare la polvere ad un Movimento Cinque Stelle in piena crisi di consenso che anzi sta lottando per il secondo posto, insidiato da un Pd zingarettiano in leggera ripresa. Dunque a Salvini serve un’idea, un modo per uscire dalla situazione in cui è stato costretto dalle disavventure del suo uomo e dall’intransigenza dell’alleato cui non è parso vero di avere tra le mani un’occasione d’oro per mettere in difficoltà la Lega. Oltretutto reclamare a gran voce le dimissioni di Siri significa anche, agli occhi dell’elettorato grillino, recuperare la verginità giustizialista messa seriamente in discussione dal voto sul caso Salvini-Diciotti quando fu negata alla magistratura la possibilità di procedere contro il ministro dell’Interno per sequestro di persona.

Quella fu contemporaneamente una prova di lealtà e uno scambio politico per Di Maio che però ne pagò le conseguenze sia all’interno dei gruppi parlamentari – dove i dissidenti sono molto più numerosi di quel che appaiono alla luce del sole – sia in faccia agli elettori nostalgici di un movimento duro e puro che non fa sconti a nessuno quando si tratta di giustizia. Adesso è il momento di pareggiare i conti. Ora, quel che farà in Consiglio dei ministri Di Maio lo sappiamo: voterà per le dimissioni del sottosegretario. Non è ancora chiaro quale sarà la contromossa di Salvini, l’«idea» per uscire dall’angolo.

Comunque vada, l’operatività del governo nelle prossime settimane rischia di ridursi al lumicino e ogni questione sarà motivo di scontro e divisione nella (ex) alleanza gialloverde.

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