Sinodo, una sfida
per gli adulti

In questi giorni il Sinodo dei giovani sta entrando sempre più nel vivo del suo percorso. È troppo presto per fare bilanci, soprattutto perché si tratta di un vero cammino che ha bisogno di svolgersi. Le persone che vi partecipano hanno bisogno di conoscersi e di capirsi. Senza tirare conclusioni affrettate, si possono individuare alcuni passaggi che paiono significativi. Anzitutto il soggetto. Si parla di giovani, esplicitamente al centro dei pensieri e degli scambi. In realtà – e questo è molto interessante – si sta parlando di Chiesa, o meglio della forma da dare alla Chiesa in questo tempo così particolare.

Quando si parla di rapporti intergenerazionali e si rileva la fatica di essere generativi, non si può spostare tutto il peso sulle generazioni successive. Aleggia spesso nell’aula del Sinodo la convinzione che ci sia qualcosa da fare: se non riusciamo a trasmettere la fede «come una volta», non ci si può impantanare nell’idea che sia sempre colpa degli altri. C’è qualcosa che non funziona più nel modo di essere cristiani dentro questo mondo: il dispositivo che per tanto tempo ha funzionato, si è inceppato. A essere onesti, non è una questione così nuova: è almeno dal tempo dell’apertura del Concilio Vaticano II che la Chiesa pone il tema; forse si è confidato troppo in quella che è stata definita la «ricezione» del Concilio stesso, pensando (illudendoci?) che comprenderne i testi potesse bastare a spalancare un futuro radioso. Le istanze che il Concilio poneva erano più che profetiche; il nostro tempo più recente (basterebbero gli ultimi dieci anni) le ha viste esplodere: l’epoca dei cambiamenti è diventata «un cambiamento d’epoca». Non a caso, credo, Papa Giovanni XXIII è tra i più citati negli interventi.

Torna con insistenza, fino a diventare centrale, il tema dell’ascolto. Citato in quasi tutti gli interventi, bisogna fare attenzione a non addomesticarlo trasformandolo in uno slogan facile da svuotare. Ciò che noi cerchiamo in ogni azione educativa, ciò che vogliamo offrire con l’umile testimonianza della vita, non è una dipendenza delle persone dal nostro modo di vivere o di concepire le cose. Ciò che si cerca, quando si tratta di essere generativi, cioè di far venire alla luce, è la maturità delle persone, è il desiderio che i giovani possano camminare con le loro gambe condividendo con loro il Vangelo di Gesù, affinché il suo umanesimo appaia al loro cuore come il più convincente. Dare forma alla propria identità e alla propria coscienza, è passato – per gli adulti di oggi – attraverso una formazione fatta soprattutto di istruzioni. È precisamente questo il dispositivo che si è inceppato: è possibile istruire il cuore del bambino (che non indica un’età anagrafica, ma la disponibilità della fede); il cuore dell’adolescente e del giovane già nuota in una cultura frammentata e naviga nella rete, un mare di informazioni (spesso false e urlate) che facilmente finisce per lasciarli senza cibo e acqua potabile. Come non abbandonarli alle loro solitudini, è questione di una Chiesa che ancora vorrebbe generarli a una vita di senso.

Per poter sperare di riuscirci, c’è bisogno di una conversione che cambi il cuore dei cristiani, ai quali riesce difficile scoprire che la cura delle giovani generazioni non può essere una semplice consegna di istruzioni. Ascoltarli: è un esercizio faticoso, quando non impossibile, se non se ne scorge il bisogno. È vero che i giovani sanno vivere benissimo indifferenti a Dio, ma la vita presenta il conto a tutti: anche il loro cuore continua ad essere attraversato da pensieri e domande. Conoscerle, capirle e ancor prima ascoltarle perché esse prendano forma sulle labbra (salendo magari dalla pancia, ma aiutandoli a capire che hanno a che fare con il cuore) è un esercizio paziente a cui non siamo abituati. Ma è il bisogno più forte che il Sinodo sta rivelando: sembra che la pazienza di porgere orecchio da parte degli adulti, sia considerata sempre più dai giovani come il criterio di credibilità più forte. Come dire: del tuo Gesù non me ne faccio nulla, se tu non sei davvero disponibile per me e per l’umanità di oggi.

Per questo l’istanza del Concilio chiede di essere ripresa: capire questo tempo non significa giustificare tutto ciò che dice, ma accoglierne le istanze per mostrare le connessioni che esse possono avere con le esigenze del Vangelo. Tornano a risuonare, in particolare nella giornata di oggi, le parole del testamento di Paolo VI: «Non si creda di giovare al mondo assumendone i pensieri, i costumi, i gusti, ma studiandolo, amandolo, servendolo». I lavori sono in corso. Per chi avrà orecchi, arriveranno messaggi di speranza.

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