L'Editoriale
Mercoledì 13 Febbraio 2019
Sindacati e produttori
Alleanza e proposte
La piazza che abbiamo visto gremita sabato scorso a Roma, non può restare relegata alla semplice cronaca di una iniziativa organizzata dalle grandi organizzazioni sindacali. È fondamentale cogliere in profondità il senso del messaggio che quella partecipazione così forte ha voluto esprimere. Innanzitutto c’erano migliaia e migliaia di persone, tanto che molti non hanno potuto raggiungere la piazza: un messaggio fortissimo, questo, soprattutto se si considera che è stato lanciato in una manifestazione preparata senza enfasi, senza proclami ma sulla base di alcune proposte, cosa non di moda in questi tempi.
Quella presenza tanto forte è stata soprattutto il segno visibile di un percorso duro e faticoso, che in questi anni il sindacalismo confederale ha compiuto tra divisioni, incomprensioni e ricerca di terreni comuni: quella di sabato scorso è stata una grande piazza «unitaria», di un’unità costruita in questi anni difficili tra fatiche e sofferenze. Il frutto di questo percorso complesso è stato una piazza propositiva, che ha parlato di lavoro, investimenti, ricerca, infrastrutture, di mettere al centro la persona, di partecipazione tra lavoro e impresa.
Ciò che è accaduto sabato è stato un segno evidente - anche per i troppi disattenti in questi anni verso il sociale, per i troppi critici e superficiali - del fatto che probabilmente, dalla crisi e dalla fase post-crisi, è nata un’alleanza tra chi «produce», un’alleanza che è cresciuta sul campo, nella realtà quotidiana, tra chi ha gestito negli anni crisi difficili e dentro una contrattazione innovata, decentrata, in una bilateralità praticata.
In questo senso, è stato emblematico il modo in cui questa piazza abbia accolto tutti, abbia condiviso un linguaggio, registrando la presenza di chi il lavoro lo crea, al fianco di chi il lavoro lo fa. Le parole scelte per descrivere la manifestazione, «Futuro al lavoro», mettono insieme molto più di quanto si potesse dedurre da un’analisi superficiale della realtà. Certo, ci sono ancora troppi che fanno impresa senza etica e fa sfruttamento, troppi che fanno lavoro senza adeguate tutele. Ma è partendo dalla convergenza, e non dalla contrapposizione, che si può e si deve costruire una risposta di qualità per il Paese.
Quella di San Giovanni non è stata una piazza «contro»: lo hanno dimostrato i lavoratori che, nel corteo, si confrontavano tra loro, che dicevano di non essere venuti per schierarsi contro qualche politico, ma di essere lì per i propri figli, per il futuro di questo Paese. Qualche politico è passato di lì, non ha scaldato i cuori, ha accettato con educazione e rispetto il messaggio che la piazza ha voluto esprimere con la voglia di non farsi etichettare da nessuno, ma senza dimenticare - pur senza fischi e proclami - che alcuni avevano frettolosamente annunciato, qualche anno fa, una campagna che doveva porre fine all’intermediazione.
Sabato scorso piazza San Giovanni ha rappresentato un momento di luce in una fase complessa della vita del Paese: più che un semplice messaggio di tipo sindacale, è stato dato un messaggio di speranza per l’Italia, una cosa che tante volte il sindacalismo confederale ha saputo fare. Sta alla responsabilità del sindacato dare continuità a questo segnale con questo stile e sta agli interlocutori costruire convergenze affinché, nel Paese del «tutti contro tutti», riprenda il cammino dei molti che, in modo coeso, vogliono andare oltre il sondaggio e il consenso immediato, per trovare risposte concrete per l’economia e per il sociale, per dare un futuro all’Italia.
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