L'Editoriale
Lunedì 29 Marzo 2021
Siamo provati,
l’eroe non basta
Un anno fa saliva solo sotto la pioggia, nemmeno un ombrello a ripararlo, verso la Basilica, lento con dietro il mondo intero. Un anno dopo Francesco ricorda e spiega: «L’anno scorso eravamo più scioccati, quest’anno siamo più provati». Seconda Settimana santa nella pandemia, il mondo contagiato che rallenta anche i riti della Chiesa. Seconda Settimana santa senza palme, ma con 1.200 vaccini destinati ai poveri e agli emarginati e quella croce alta sulla terra malata, le ingiustizie passate e presenti, aggravate dalla pandemia che ha smascherato ciò che qualcuno si ostinava a velare e a negare, egoismi nazionali e sicurezze false. Un anno fa anche Jorge Mario Bergoglio era scioccato. Un anno dopo Jorge Mario Bergoglio è risentito perché ormai è chiaro che nella pandemia non navighiamo tutti sulla stessa barca, non remiamo insieme, non ci confortiamo a vicenda, se non quando la retorica ci intrappola.
La ricerca dell’«immaginazione del possibile», impresa evocata l’anno scorso dal Papa per evitare che qualcuno e popoli interi venissero sbaragliati dal nazionalismo sanitario e dal rancore vaccinale, non presenta un bilancio positivo. Così Francesco è lapidario: «Siamo più provati e la crisi economica è diventata più pesante». Si è faticato a cambiare le agende, a sostituire la competizione con la fratellanza, l’odio e la violenza con il dialogo e la pace. La pandemia ha allontanato e non avvicinato. Così qualcuno dalla barca è caduto, qualche altro non è neppure riuscito a salire. Bergoglio lo ha ripetuto allo sfinimento in questo anno in interventi e messaggi e con gesti simbolici che avrebbero dovuto inchiodare a ben diverse responsabilità come quello dei vaccini regalati ai poveri o il taglio allo stipendio dei cardinali. È addirittura andato in Iraq per spiegare da dove sarebbe il caso di ripartire o meglio di ricominciare con narrazioni diverse dei rapporti tra popoli, religioni e potere.
Quella che è iniziata ieri è la settimana della Croce, dove tutto è appeso. Ieri nell’omelia della Messa delle Palme il Papa ha usato una frase che andrebbe molto meditata: «Gesù sale sulla croce per scendere nella nostra sofferenza». Lo ha detto per sottolineare che un modo ci sarebbe per impostare una nuova rotta, in mezzo ai guai aumentati della pandemia. Dovremmo di più stupirci della potenza del Vangelo, cioè dell’amore, e lasciar ai margini «legalismi» e «clericalismi», parole di Bergoglio, ma anche quel modo un po’ falso di guardare le cose ammirandole e basta. In questo anno abbiamo «ammirato» molto e usato forse troppo spesso la parola «eroi». È servito a volte per proteggersi dallo shock, terapia di prevenzione emotiva, di resilienza, abbiamo imparato a dire, in pratica un elemento (apparentemente) di forza per superare avversità. Ma è così davvero o non c’è il rischio che la resilienza si trasformi in delirio di onnipotenza di alcuni e in affanno e oblio per molti altri? I conflitti sono aumentati a causa e nonostante il coronavirus.
La violenza provocata dalla enorme quantità di armi in giro per il mondo e dalla tendenza ad individuare nemici rispetto ai propri interessi e calcoli è in espansione. Bergoglio lo ha detto, inascoltato, innumerevoli volte. Anche la pace va sulla croce, insieme agli equilibri sconvolti di popoli e di regioni intere, dall’ex Birmania al Corno d’Africa con insidiosi nuovi focolai d’odio, pronti a innescare guai, come l’attacco kamikaze di ieri in Indonesia, gli attentati che hanno ammazzato 130 persone martedì scorso in Niger e i soliti morti quotidiani sulle rotte dei migranti. Sulla Croce c’è tutto anche ciò che dimentichiamo.
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