L'Editoriale
Sabato 02 Febbraio 2019
Si tav, no Tav
Se i voti contano più
del rilancio
Sulla Tav, la linea ferroviaria che dovrebbe collegare Torino con Lione, il governo si è diviso in due come una mela, sulla falsariga dei due popoli che riempiono le piazze di Torino a settimane alterne come le targhe, a favore e contro, «l’Italia sì, Italia no» che cantavano Elio e le storie tese. Da una parte il vicepremier «si-Tav» Matteo Salvini («sono pronto ad andare a avanti»), dall’altra il «no-Tav» Luigi Di Maio («non vogliamo investire soldi per opere inutili»). Sembra un tiro alla fune: i 5 Stelle, contrari - almeno in termini di principio - alle grandi opere, uno dei capisaldi della nascita della nuova formazione politica, contro la Lega, vicina al mondo imprenditoriale e desiderosa di esaudire almeno in parte la volontà di Confindustria.
Non è un grande spettacolo per un Governo della Repubblica, che su certi aspetti dovrebbe parlare con una sola voce e non in controcanto. Perché non trovare il coraggio di una scelta politica autonoma, ferma e risoluta, per far ripartire il Paese?
Anche le motivazioni lasciano il tempo che trovano. Non si tratta certo di progetti a lungo termine, di visioni a lungo termine, ma di scelte al ribasso. Salvini, con caschetto giallo e gilet d’ordinanza, sostiene che ormai sono stati scavati 25 km nella montagna e tanto vale finire il buco piuttosto che riempirlo, anche se si può risparmiare qual cosina ridimensionando il progetto. Come dire: già che ci siamo completiamolo questa benedetta ferrovia, ma senza entusiasmo, solo perché ormai abbiamo iniziato, come quando si finisce di mangiare una minestra stracotta solo perché ormai l’abbiamo ordinata al ristorante. Di Maio invece sostiene che la Tav non è mai cominciata e che si tratta solo di un cantiere geo-sperimentale. E il bello è che nelle stesse ore in cui si svolgeva in Italia questo assurdo minuetto, dall’altra parte del confine, a Saint-Martin-la-Porte, la ministra francese dei Trasporti Elisabeth Borne parlava con una voce sola, affermando che «la Francia è veramente impegnata in questo progetto». La ministra, senza specificare i tempi, ha affermato che bisogna fare in fretta per non perdere i finanziamenti europei. Noi invece ci dividiamo in guelfi e ghibellini ferroviari perché siamo in campagna elettorale permanente e più che le opere ci interessano i voti alle europee. Seguiamo la linea del consenso, non quella ad alta velocità.
Quanto alla Tav, un po’ di chiarezza andrebbe fatta. Innanzitutto non è vero che è solo un collegamento merci. E soprattutto non è vero che basta già la rete ferroviaria esistente per attraversare il cuore della Francia e arrivare a Lione in tempi rapidi. Il progetto prevede il dimezzamento del tempo di percorrenza dei passeggeri: da Parigi a Milano da 7 a 4 ore, da Torino a Chambery da 150 minuti a 70. Per non parlare delle merci, con costi di esercizio quasi dimezzati e capacità di trasporto enormemente ampliata. Si chiama commercio, circolazione delle merci, business. Ma noi ne possiamo fare a meno, mica siamo in recessione, non dobbiamo far ripartire l’economia della seconda manifattura europea dopo al Germania. Il progetto Tav non genera danni ambientali. Quanto alla direttrice storica del Frejus già esistente, di cui ci dovremmo accontentare, si tratta di una linea vecchia e antiquata, che costringe i treni ad una salita di 1.250 metri di quota con sovracosti esorbitanti. Una linea che passa attraverso una galleria così stretta che non entrano nemmeno i containers oggi in uso per il trasporto merci. Con la la Tav sarebbe come passare dalla macchina da scrivere al computer, ma noi questo problema non ce lo poniamo come se lo è posto il ministro francese. A proposito, che fine ha fatto l’omologo della Borne, il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli? Non pervenuto. Da lui attendevamo una parola chiarificatrice. Ma forse è meglio così.
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