Sì o no all’Alta velocità
Il compromesso difficile
divide Lega e 5 Stelle

Il presidente del Consiglio lo nega, e non potrebbe fare altrimenti, ma la vera posta in gioco sul tavolo di Palazzo Chigi nell’interminabile vertice di ieri sera era la crisi di governo, e non solo la Tav, o meglio: il compromesso sulla Tav. E si è arrivati a questo punto perché intorno all’Alta velocità Torino-Lione si sono radicalizzate le posizioni identitarie (per la Lega ma soprattutto per il M5S) e gli interessi elettorali, tanto più laceranti perché il M5S deve fare i conti col dimezzamento dei suoi voti. Dunque il «no» alla Tav per Di Maio è un po’ come la linea del Piave: se Salvini la sfonda dilaga per la pianura (come già sta facendo, dal momento che la sua Lega è data in crescita vertiginosa), monta il dissenso interno al movimento e il governo cade prima delle elezioni europee.

Ma anche Salvini deve rendere conto al suo elettorato del Nord che chiede insistentemente investimenti sulle infrastrutture la cui inadeguatezza è un handicap per la nostra economia. Ecco perché ieri sera, entrando a Palazzo Chigi per la riunione con Conte, Di Maio, Toninelli e una pletora di tecnici ha annunciato: «Stasera o c’è un sì o c’è un no, il forse non esiste». Anche perché stanno arrivando avvertimenti internazionali assai pesanti. La Commissione europea ha annunciato una lettera in cui ci avverte che se venissimo meno agli impegni presi con il trattato internazionale che abbiamo firmato, perderemmo finanziamenti per 800 milioni e violeremmo due regolamenti comunitari, con relative sanzioni. Inoltre la Francia ha già chiarito che, in caso di voltafaccia, vorrebbero essere risarciti dei danni e delle spese già effettuate. Non solo: anche altri partner potrebbero chiederci i danni perché la Tav non è, come dice di credere Toninelli, una strada ferrata per andare in gita a Lione, ma è un corridoio transnazionale dell’Unione la cui mancata realizzazione danneggia le economie di tutti. Insomma un pasticcio. Da cui Di Maio è il primo a voler uscire, anche se non sa ancora come.

Un’ipotesi di compromesso è quella di autorizzare la pubblicazione dei bandi della società italo-francese Telt che costruisce l’opera e di denunciarli entro sei mesi, cioè dopo le elezioni europee. In campagna elettorale ognuno potrebbe così propagandare il bicchiere mezzo pieno. Peccato che alla Lega questa strada non piaccia: nessuno ci cascherebbe. Altra soluzione: ridiscutere la Tav rinunciando alla costruzione del nuovo tunnel e adattando all’alta velocità quello costruito dai Savoia nel 1871: si risparmierebbero dei soldi ma secondo la Lega l’opera verrebbe snaturata mentre il governatore del Piemonte Chiamparino giudica l’idea «una carnevalata». Ultima soluzione: si pubblicano i bandi entro la data stabilita e poi, se il M5S continua a dire no, ci si rivolge o al popolo sovrano (referendum popolare in Piemonte) o ai suoi rappresentanti in Parlamento. Se è del tutto probabile che nelle urne referendarie il sì alla Tav prevarrebbe, è matematicamente certo che alla Camera e al Senato il M5S finirebbe per soccombere, essendo la sua posizione isolata.

Affrontando la sconfitta, però, Di Maio potrebbe dimostrare al suo elettorato che si è battuto fino in fondo e come un leone contro il treno: Toninelli in quel caso si dimetterebbe dal governo senza un eccessivo spargimento di lacrime da parte dei suoi. Salvini dovrebbe cantar vittoria a mezza voce per non urtare la suscettibilità dei grillini e per non provocare la rivolta interna contro Di Maio che porterebbe alla caduta inevitabile del governo. Ad assumersi la responsabilità di dare il via libera all’opera sarebbe Conte in quanto presidente del Consiglio. Vedi tu a cosa servono i tecnici.

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