L'Editoriale
Mercoledì 19 Aprile 2023
Shoah, memoria da tramandare
ITALIA. Quante scuole in Italia organizzano visite ad Auschwitz, il campo di concentramento a 70 chilometri da Cracovia divenuto il simbolo dell’Olocausto?
Della portata e della necessità di un simile viaggio in questo mattatoio umano dove vennero incenerite in quattro anni, dal 1941 al 1945, più un milione di persone (ebrei, sinti, rom, oppositori politici, disabili, sacerdoti e pastori protestanti, omosessuali), spesso dopo un calvario atroce fatto di stenti, persecuzioni, torture, abbruttimenti fisici e psichici e in molti casi di esperimenti orrendi - anche ai danni di bambini, come quelle del medico-boia Mengele - ce ne ha dato conto il capo dello Stato Sergio Mattarella, accompagnando gli studenti di alcuni licei in quest’area polacca dove sorgeva una vera e propria costellazione di lager adibiti alla «soluzione finale». «Cittadini innocenti di ogni Paese d’Europa furono tradotti bestialmente in questo luogo di morte». Un ruolo che il presidente definisce, con rara efficacia, «un immenso cimitero senza tombe».
Le ragioni di un viaggio nella memoria storica come questo sono molteplici. La prima è naturalmente quella di rendersi conto materialmente dell’orrore (chi scrive non dimenticherà mai le camere a gas e le montagne di capelli e di scarpe ritrovate dai russi e conservate come monito perenne in una delle baracche di cemento di questa vecchia caserma polacca trasformata in lager, poiché i nazisti erano anche ladri e depredatori, oltre che assassini). Dunque chi si reca ad Auschwitz lo fa per rendersi conto di quanto già sapeva o aveva studiato e ribadire il «mai più» nel foro della propria coscienza, poiché, come ha ripetuto Mattarella «l’odio, il pregiudizio, il razzismo, l’estremismo e l’indifferenza, il delirio e la volontà di potenza sono in agguato, sfidano in permanenza la coscienza delle persone e dei popoli».
In un’Europa attraversata da spinte nazionaliste e suprematiste è come se il nostro Capo dello Stato si fosse posto ai confini fisici e morali di questo atteggiamento eversivo, come una sentinella, come a mettere dei paletti, quasi a rimarcare i limiti di certi atteggiamenti e di certe ideologie. Insomma: il suprematismo e la sua derivazione razzista è una direttrice che all’estremo ci porta lì, ad Auschwitz. Il campo di sterminio è il capolinea patologico del totalitarismo nazionalista. Ma un buon motivo per una visita, ci fa capire il presidente, è anche quella di rendere gli stessi visitatori di Auschwitz e Birkenau testimoni e futuri portatori di quella memoria, contro quelli che definisce «gli araldi dell’oblio». A cominciare dai negazionisti e di tutti coloro che mettono sullo stesso piano i nazisti e gli alleati anglo-americani, in un atteggiamento peloso del «volemose bene», come quello che sta covando in molti ambienti in vista del 25 Aprile, Giornata della Liberazione. Ambienti che vogliono mettere sullo stesso piano la Resistenza e «i ragazzi» di Salò.
Bisogna sempre ricordare chi combatteva dalla parte giusta e chi no. Pur nella brutalità della guerra, nell’orrore dei bombardamenti (come quello di Dresda, magistralmente descritto da Kurt Vonnegut in «Mattatoio 5») le forze angloamericane ci sciolsero dalle catene dell’oppressore nazifascista e dal totalitarismo e ci donarono la libertà, valore non scontato, i cui principi sono nella nostra Costituzione, dandoci la possibilità di ripartire e ricostruire un Paese in cui respiriamo ancora i valori della democrazia. Dall’altra parte c’erano forze e principi che in nome di Hitler avrebbero trasformato l’Europa in un popolo di schiavi iloti. Per questo, ha rimarcato Mattarella, lo Sterminio è un crimine che non può conoscere «né oblio né perdono».
Oggi più che mai, «nel riproporsi di temi e argomenti che avvelenarono la stagione degli anni Trenta del secolo scorso con l’infuriare dell’inumana aggressione russa all’Ucraina», la memoria dell’Olocausto «rimane un monito perenne che non può essere evaso». C’è una connessione profonda tra gli orrori cui assistiamo in questi giorni e la deriva che portò negli anni Trenta tutta l’Europa all’inferno. Il Capo dello Stato ha voluto ricordarcelo.
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