Sfida cinese nei mari asiatici, le risposte

MONDO. Preoccupazione per la situazione a Taiwan e nel mare Cinese meridionale; irritazione per il sostegno militare russo alla Corea del Nord; discussione sulla riforma delle Nazioni Unite. Ecco tre dei punti principali discussi dai leader del Quad (Stati Uniti, Australia, India e Giappone) nel loro summit di saluto al presidente Usa, Joe Biden, nella sua città natale in Delaware.

«Dialogo per la sicurezza» così si chiama l’ennesimo club (Quad) di Paesi, utile per coordinare le rispettive politiche, in questo caso nell’area dell’Indo-Pacifico e, di fatto, in funzione anti-cinese. Chiaramente nessuno dei presenti a Claymont ha citato esplicitamente Pechino come una minaccia, ma i riferimenti sono ben chiari. Le maggiori sfide vengono proprio da chi, si legge in un documento Usa, «in casa propria ha aumentato la repressione e all’estero si comporta in maniera assertiva, minando i diritti umani e le leggi internazionali, avendo come obiettivo quello di dare una nuova forma all’ordine internazionale».

La situazione nello stretto di Taiwan rimane tesa e non deve sfuggire di mano, come quella in Corea del Nord, dove Pyongyang sta testando missili balistici ed ha mostrato progressi inaspettati dopo la sua fornitura (stando ai Servizi segreti sud-coreani) di munizioni di artiglieria alla Russia

Troppe sono le dispute in giro per i mari asiatici con una decina di Paesi a doversela sbrigare con l’ex Impero celeste, che nel mar Cinese meridionale ha costruito isole su degli atolli ed ora rivendica il controllo di ampie zone (in parte già militarizzate) di una delle rotte mercantili più trafficate al mondo. Il «Quad» ha pertanto deciso di rafforzare il proprio coordinamento marittimo, mirando a migliorare dal 2025 il pattugliamento con una «missione di osservatori» inquadrata nelle rispettive Guardie costiere. La libertà di navigazione e dei commerci - secondo Stati Uniti, Australia, India e Giappone - va garantita e difesa più attivamente. Sono soprattutto Washington e Canberra a spingere sull’aspetto militare, mentre Nuova Delhi smorza i toni in apparenza più accesi.

La situazione nello stretto di Taiwan rimane tesa e non deve sfuggire di mano, come quella in Corea del Nord, dove Pyongyang sta testando missili balistici ed ha mostrato progressi inaspettati dopo la sua fornitura (stando ai Servizi segreti sud-coreani) di munizioni di artiglieria alla Russia. Un altro conflitto, questa volta in Asia - dopo quelli in corso in Ucraina e a Gaza - porterebbe ad uno scenario devastante di ampio scontro internazionale e ad una destabilizzazione globale.

Attenzione al summit in Delaware è stata posta anche ai bombardamenti dei cargo diretti da e verso il Canale di Suez da parte degli Houthi yemeniti all’imbocco del mar Rosso. La risposta più adatta a questa instabilità generalizzata passa soprattutto attraverso il rafforzamento dell’architettura diplomatica e l’impegno globale. Ecco perché in particolare gli Stati Uniti stanno ovunque rafforzando le loro partnership e le loro alleanze.

Nazioni unite, la strategia

La necessità di ammodernare le Nazioni Unite sta diventando pressante per meglio affrontare la nuova realtà del XXI secolo. Per i quattro Paesi urge «riformare il Consiglio di sicurezza rendendolo più rappresentativo, inclusivo, trasparente e democratico».

In conclusione, un paio di osservazioni. La prima: in mancanza di una vera leadership globale è sintomatico che siano nati tutti questi club informali di Stati per meglio rispondere ai singoli interessi nazionali o di aree geografiche. La seconda: in questo mondo confuso e disordinato mettere a rischio la libertà dei commerci e il movimento delle merci, sperando nella disattenzione altrui, equivale a dichiarare uno stato conflittuale con l’intera comunità internazionale le cui conseguenze potrebbero essere disastrose. Rendersene conto prima che sia troppo tardi è nell’interesse collettivo.

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