
L'Editoriale / Bergamo Città
Venerdì 21 Marzo 2025
Servizi pubblici e disagi: le scelte dei sindaci e il senso di comunità
ITALIA. Le auto sono quasi ferme, ormai, là fuori. Lo dicono i dati che la Provincia, ente terzo, ha presentato giovedì 20 marzo in Regione: prima della decisione di Gorle di chiudere i suoi varchi, le auto attraversavano l’incrocio della Martinella a una media di 45 orari, più che dignitosa considerata la mole dei pendolari che ogni giorno scendono dalla Val Seriana per raggiungere il capoluogo.
Ora, quasi, si cammina: 20 orari. E però, a Gorle si sta meglio, rispondono da «dentro»: le auto sono dimezzate, c’è più quiete, possibile che aprendo bene le orecchie si sentano persino gli uccellini cinguettare. Una soluzione però andrà trovata, perché è evidente a chiunque che non può una comunità piccola decidere sulla pelle di una comunità più grande, escludendo il suo pezzo di assunzione di responsabilità perché così, «dentro», stiamo tutti meglio. Una soluzione andrà trovata perché Gorle ha poco più di 6.500 abitanti e la Val Seriana oltre 136mila. Può, una comunità così piccola, incidere sulla vita, sulle abitudini, sui tempi, sull’economia di una comunità molto più grande? Può, certo, se vince l’individualismo, se vince l’idea che l’importante è che si stia bene «noi», e gli altri pazienza.
Una soluzione però andrà trovata, perché è evidente a chiunque che non può una comunità piccola decidere sulla pelle di una comunità più grande, escludendo il suo pezzo di assunzione di responsabilità perché così, «dentro», stiamo tutti meglio
Non può, invece, se prevale il senso di comunità che un’istituzione dovrebbe sempre avere, osservando e misurando il proprio diritto in relazione con quello altrui. Che poi è proprio quel che capita in ogni comunità, dalla famiglia in su, dove ognuno fa la sua parte per tenere insieme il tutto.
I disagi anche in altre realtà non mancano
Perché se si ragionasse tutti come l’Amministrazione di Gorle, allora i residenti di Orio al Serio e Grassobbio, che convivono con gli effetti sonori e atmosferici del terzo aeroporto italiano per volumi di traffico, dovrebbero piantare le tende in pista, affiancati dai residenti dei quartieri cittadini interessati, dato del 2024, da circa 110mila tra decolli e atterraggi. Ma l’aeroporto, come i treni che attraversano i quartieri, come le strade e le autostrade, come gli inceneritori, come gli ospedali, come lo stadio, sono servizi pubblici, che portano benefici a tutti e disagi ad alcuni. Chi si fa carico del disagio dell’aeroporto (chi scrive, a scanso di equivoci, ha vissuto per 32 anni a Colognola quando gli aerei erano meno numerosi ma molto, molto più rumorosi) «usufruisce» del sacrificio altrui quando manda la propria immondizia allo smaltimento, quando sale su un treno per Milano che passa sotto le case di S. Tomaso de’ Calvi, quando va alla partita e partecipa a un evento di massa, bello certo, ma che i residenti devono «sopportare». Sopportare, d’altra parte, ha in sé non solo il significato più comune, di tollerare qualcosa di negativo. Sopportare propone anche un senso più nobile, il senso del reggere su di sé, del sostenere.
La mancanza di dialogo
Se ognuno sopporta - regge - il proprio pezzetto, dunque, una comunità si tiene. Se ognuno bada solo al proprio «dentro», liberando le proprie strade e pure sottraendosi al confronto come ha fatto ieri il sindaco di Gorle non andando in Regione - uno sgarbo istituzionale che dal Pirellone dicono non abbia precedenti - ma pubblicando un documento su Facebook, allora le comunità perdono di senso, si sfarinano nell’egoismo.
Scrive il sindaco di Gorle che per verificare davvero gli effetti del suo provvedimento occorra per forza aspettare fine maggio. Ma non si capisce cosa dovrebbe cambiare, da qui a fine maggio, nelle rilevazioni. Al limite, gli effetti della sua decisione potrebbero cambiare, ma in peggio. Quel che ha determinato è semplice: Gorle si è liberato di un problema consegnandolo ad altri. Chiaro che, come scrive il sindaco, «la sperimentazione mostra segnali incoraggianti». Il tema è domandarsi quale sia il punto di vista che deve guidare un sindaco nel dare quel giudizio: se esclusivamente quello di una comunità di 6.500 persone, o se non quello più ampio del territorio in cui quella comunità vive e si relaziona. Se conti di più una valle che si paralizza, o il proprio giardinetto con l’erba pettinata, orgogliosamente più verde di quella del vicino.
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