Senza lavoro e rassegnati
Il record di Neet
per i giovani italiani

Ecco un altro record sconfortante per quest’Italia che invecchia e stenta a crescere. L’Eurostat certifica che siamo diventati il regno dei Neet (acronimo di Not engaged in education emplyment and training), quelle persone, soprattutto di giovane età, che non hanno né cercano un impiego e non frequentano una scuola e nemmeno un corso di formazione o di aggiornamento professionale. Un esercito di uomini e donne che rischia ormai la marginalizzazione cronica come in «Trainspotting», caratterizzata non solo da deprivazioni materiali e carenza di prospettive ma anche di depressione psicologica e disagio emotivo che si ripercuote anche in ambiente familiare. Una condizione quasi esistenziale, mirabilmente descritta da Arthur Miller in «Morte di un commesso viaggiatore».

Nel 2018 erano circa 15 milioni i giovani tra i 20 e i 34 anni in Europa che né lavoravano né studiavano, trascinavano le loro pigre giornate secondo l’immortale battuta dell’«Ecce bombo» di Nanni Moretti: «Vedo gente, faccio cose». La cifra corrisponde alla proporzione di un giovane su sei, il 16,5% della popolazione giovanile. È Eurostat a dirlo oggi, mostrando una tabella impietosa sulle situazioni nazionali: l’Italia è la prima di questa triste classifica, con una percentuale di Neet del 28,9% quasi un giovane su tre, seguita dalla Grecia che ne ha il 26,8% (fino a poco tempo fa Atene ci stava sempre dietro nelle classifiche, oggi sempre più spesso i ruoli si sono invertiti).

Seguono la Bulgaria (20,9%), la Romania (20,6%), la Slovacchia (20%) e la Spagna (19,6). Appena sopra media europea sono ancora Croazia, Francia, Cipro e Ungheria, mentre i Paesi più virtuosi sono la solita Svezia con solo l’8% di Neet, i Paesi Bassi (8,4%), Lussemburgo e Malta (intorno al 10%), Austria e Danimarca (tra il 10 e l’11%).

In questa drammatica situazione del mondo giovanile c’è un ulteriore dato preoccupante: sempre nella fascia 20-34, le donne che nel 2018 non studiavano né lavoravano in Europa sono state il 20,9%, mentre gli uomini il 12,2%. In Italia, il dato scorporato rispetto al genere parla di 34,2% di ragazze rispetto al 23,8% di ragazzi che l’anno scorso non hanno avuto opportunità di lavoro né di studio o formazione. Una notizia davvero sconfortante sul piano dell’emancipazione femminile.

A questo punto dobbiamo chiederci con onestà se questa situazione dipende non solo da fattori economici ma anche da usi e costumi tipicamente italici mirabilmente raccontati nei film di Checco Zalone o nelle commedie di De Filippo. Gli italiani in Europa sono quelli che escono di casa in età più tarda rispetto ai coetanei di tutto il Vecchio Continente.

Ma la seconda considerazione è ancora più preoccupante: le politiche del governo, a cominciare dal reddito di cittadinanza, sono destinate a contenere questo fenomeno o ad ampliarlo? Quanto hanno fatto presa le esperienze di partenariato industriale e di tirocinio che dovrebbero indurre i giovani a studiare con la prospettiva concreta di trovare un lavoro?

A questo punto la soluzione più opportuna per uscire da una soluzione del genere è quella di emigrare. E infatti l’Italia è il Paese con il più alto tasso di emigrazione d’Europa. Eppure percorsi di sostegno adeguati dovrebbero aiutare questi ragazzi a non lambiccarsi ogni giorno, pesando sulle spalle di famiglie che un giorno non ci saranno, e a trovare nuovi stimoli trovando la forza di riprendere il proprio destino sulle proprie spalle.

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