L'Editoriale
Giovedì 05 Settembre 2019
Se YouTube va a caccia
dei dati dei bambini
Le violazioni sulla privacy stanno diventando un problema serio per le grandi piattaforme digitali. La buona notizia è che le istituzioni lo hanno preso molto sul serio, spingendo di riflesso i giganti del digitale a prendere provvedimenti. Il primo passo è l’ammissione ufficiale che la questione esiste. La Apple aveva ammesso di non essere stata all’altezza dei suoi standard per la privacy e si è scusata ufficialmente con i consumatori dopo la questione relativa agli audio registrati dall’assistente digitale Siri e ascoltati dai dipendenti delle imprese. Trecento di loro sono stati licenziati o hanno perso il lavoro indirettamente. Ora un altro gigante del web, Google, si appresta a pagare una cifra compresa fra i 150 e i 200 milioni di dollari per chiudere il contenzioso con le autorità americane per la violazione da parte della controllata YouTube della privacy dei bambini. L’intesa è stata approvata dalla Federal Trade Commission con tre voti a favore e due contrari e dovrà ora essere esaminata dal Dipartimento di Giustizia.
L’accordo promette di passare alla storia come la sanzione più alta comminata per la protezione dei minori sul web. L’accusa è di avere raccolto dati dei minori senza il consenso dei genitori. Il fine è sempre lo stesso, in fondo, quello di fornire servizi di pubblicità personalizzati, caratteristica del mondo dei social network. La personalizzazione del marketing, dell’advertising e naturalmente anche della propaganda politica rappresenta una delle nuove frontiere delle tecnologie digitali. Da qui l’uso e l’abuso, inquietante, dei dati personali, degni del Grande Fratello. I social, se vogliono, possono sapere tutto di noi. E quello che non sanno lo ricavano indirettamente attraverso atteggiamenti del consumatore che solo apparentemente non hanno nulla a che fare con i questionari che siamo chiamati a compilare.
Ma cosa è accaduto in questo caso? Si è verificato il rischio maggiore: quello di andare a colpire il privato dell’anello più fragile, quello dei minori, ovvero quello dei nativi digitali, totalmente connessi con la Rete e con i loro prodotti ma anche bisognosi della più completa protezione. YouTube infatti avrebbe violato il Children’s Online Privacy Protection Act, la normativa che vieta il tracciamento degli utenti di età inferiore ai 13 anni.
Questa sorta di Carta di Treviso americana rende obbligatorio il consenso dei genitori per la raccolta delle informazioni sui loro figli. Due anni fa, più di 20 gruppi di difesa dei minori e della privacy avevano presentato un reclamo alla Federal Trade Commission, sostenendo che YouTube avesse consapevolmente raccolto dati a fini pubblicitari coinvolgendo bambini di età inferiore ai 13 anni. Nel 2018 un gruppo di 23 studi legali e associazioni a difesa dei consumatori aveva poi sporto un altro reclamo.
Ma i giganti del digitale stanno cominciando a rendersi conto autonomamente e consapevolmente di queste problematiche. Esemplare in Italia la firma tra Google, Telefono Azzurro e Altroconsumo di un progetto mirante a presentare video, consigli strutturati e contenuti educativi per aiutare adolescenti, genitori e insegnanti ad affrontare i cosiddetti messaggi di incitamento all’odio sul web prodotti dai cosiddetti «hater». L’esempio che la Rete di per sé è neutra, come la lama di un coltello. Dipende da noi se farne buon uso, se usarla per ferire qualcuno o affettare il salame.
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