Se lo Stato alimenta il gioco e fa cassa

ITALIA. Gran parte del secolo scorso ha visto prevalere una cultura nazionalpopolare che vedeva nel «gioco» un vizio riservato alle élite e che dava a questo comportamento un’etichetta legata a una condotta lasciva dei costumi sociali.

Veniva persino definito «la tassa degli imbecilli». In quegli anni l’attività dei Monopoli di Stato (Aams) era orientata a contenere l’espansione dei giochi entro limiti tollerabili, concentrando l’attenzione prevalentemente sul Totocalcio e il Lotto.

Dalla metà degli anni Novanta, però, l’atteggiamento dei Monopoli ha subito una svolta sostanziale a seguito della decisione di riportare sotto il proprio controllo la maggior parte dei giochi e delle scommesse. Si è così giunti alla progressiva legalizzazione di varie tipologie di giochi, attraverso una strategia di marketing preordinata a raggiungere tutti gli strati della società, dai giovani agli adulti, alle donne agli anziani, alle famiglie.

Ai giochi tradizionali come Totocalcio e Lotto, caduti progressivamente in declino, se ne sono aggiunti altri come l’Enalotto, il Bingo, le lotterie istantanee (il Gratta e vinci) e le scommesse via internet su vari avvenimenti sportivi. L’obiettivo dichiarato era quello di contrastare le organizzazioni criminali nel campo dei giochi illegali, divenuti un’industria clandestina capace di generare ingenti fatturati. Accanto a questo obiettivo, solo parzialmente raggiunto visto che la spesa per giochi illegali continua a essere di circa 30 miliardi l’anno, ve ne era un altro che, anno dopo anno, è divenuto preponderante. Acquisire attraverso il gioco risorse utili per finanziare il bilancio dello Stato. Una sorta di scorciatoia istituzionalizzata di autofinanziamento, stante la cronica incapacità dei governi di reperire risorse attraverso oculate politiche di bilancio, un sistema fiscale equilibrato ed efficiente, un’incisiva lotta all’evasione fiscale. In questa nuova prospettiva di vero e proprio «business» da parte dei Monopoli, il mercato legale dei giochi ha raggiunto in pochi anni una rapidissima espansione, sia attraverso la rete fisica che attraverso la crescita esponenziale delle piattaforme digitali.

Secondo i dati dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (fermi al 2022), la spesa per il gioco fisico (sale gioco, bar e tabacchi) è passata da 44 miliardi del 2021 ai 63 del 2022. L’iGamin (gioco online) dai 35 miliardi del 2019 ai 73 del 2022, per un totale di 136 miliardi che si stimano diventare 150 a fine 2023. Tutta questa spesa contribuisce per circa 15 miliardi di euro alle entrate erariali annuali, che sono destinate a crescere considerando l’anticiclicità del comparto del gioco. Secondo una recente ricerca diffusa da Radio Vaticana, l’Italia risulta oggi al primo posto nel mondo con una spesa pro capite nel gioco di 1.850 euro l’anno. Circa il 27% degli italiani gioca più di tre volte alla settimana, anche in virtù della possibilità di giocare in luoghi abitualmente frequentati per altre esigenze, come bar e tabacchi. Tra questi giocatori, il 40% dei quali tra i 20 e i 35 anni, circa due milioni risultano «compulsivi», cioè portatori di una sintomatologia simile a quelle dell’alcolismo, che si manifesta attraverso un completo coinvolgimento nel gioco e che porta spesso alla disperata ricerca di danaro per giocare, facendo anche ricorso ad usurai e organizzazioni criminali.

Le conseguenze sono spesso disastrose sul piano economico, e, conseguentemente su quello delle relazioni personali, familiari e lavorative. Le ragioni per cui si gioca sono principalmente riconducibili al brivido del successo nell’aver previsto quello che sarebbe accaduto; alla convinzione di poter risolvere tutti i propri problemi senza fatica attraverso i soldi facili; alla convinzione di aver scommesso sul certo, come nel caso del calcio e di altri sport, sfruttando comportamenti criminali tendenti a determinare l’esito di alcuni eventi. In ognuno di questi casi si vive come in un sogno. Ma c’è chi, sognando, si ammala di gioco e si accanisce, schiavo di un rischio in cui si può solo perdere.

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