Se l’offensiva di Kiev vuole arrivare al negoziato

MONDO. L’attacco alla regione di Kursk segna l’inizio di una nuova fase nella tragedia russo-ucraina.

La domanda che ora si pongono gli osservatori è se tale azione rappresenta la chiusura definitiva di quella finestra inattesa di speranza - apertasi con il summit della Nato a Washington e ampliatasi il primo agosto con il maxi scambio di spie - oppure se siamo di fronte alla classica «escalation for de-escalation» con l’obiettivo di giungere ad un negoziato «serio» in autunno. Diciamolo subito: dare una risposta secca ad un interrogativo così complesso non è possibile al momento; troppe sono le variabili. Il primo elemento da comprendere è il perché di questa scelta di Kiev.

È questa una mossa di carattere strategico militare o una mossa con altri fini? Se fosse di carattere strategico militare gli ucraini sarebbero arrivati fino a Kurchatov, alla centrale atomica di Kursk, distante solo una sessantina di chilometri dal confine, difeso da truppe composte da giovani militari di leva, poiché i professionisti e quelli a contatto sono a combattere in Donbass. Così, invece, non è stato. Gli ucraini hanno solo occupato la stazione di pompaggio del gas russo diretto a tre Stati Ue, la cui condotta, però, transita per il loro territorio sotto ai loro piedi.

Fino all’inizio dell’estate vi è stato quasi un tacito accordo tra Mosca e Kiev a non allargare il conflitto ad altre regioni. Questa di Kursk è, in sintesi, la risposta agli eventi di giugno, all’incursione delle truppe federali in alcuni distretti della regione di Kharkiv, ancora sotto il loro controllo. Come allora gli ucraini furono presi di sorpresa, adesso è lo stesso per i russi. L’attacco di Kiev ha soprattutto una forte valenza psicologica sulla società russa ed è un colpo all’immagine di Putin, il garante della sicurezza del Paese da 25 anni. Per di più, per la prima volta dalla fine della Seconda guerra mondiale, la Russia viene invasa da truppe regolari straniere. E già questo è uno choc.

L’azione ucraina – questo un altro elemento cruciale – ha costretto il potere moscovita a cambiare la sua politica comunicativa. Fermare il flusso di notizie negative ormai non era più possibile. Propaganda e censura sono state messe fuori gioco. Così persino le televisioni di Stato hanno trasmesso servizi da Kursk. Chiaramente le parole delle persone intervistate sono state misurate. Ma una televisione commerciale semi-indipendente ha mostrato per ore la disperazione e le distruzioni senza troppi veli.

Sui canali Telegram – dove di solito si informa la gente - si combatte, invece, una vera battaglia. Su quelli locali di Kursk sono arrivati i bot con commenti di blogger pro-Cremlino. «Basta scrivere da Mosca su eventi a Kursk» è stato un messaggio seccato di un lettore. Dal parlare di azioni eroiche e di eliminazione dei «nemici nazisti» si è passati a far vedere anche i drammi umani. Il conflitto – osservato finora da lontano - è adesso dentro la Russia. E la cosa è diversa. Oleg Deripaska – prima dell’attacco a Kursk – ha invitato il Cremlino ad iniziare negoziati senza condizioni. Assurdo, osservava l’oligarca (da sempre vicino a Putin), spendere tutti quei soldi in Ucraina.

I dati finanziario-economici russi indicano l’arrivo di una bufera. Il momento di chiudere questa tragedia dopo 900 giorni circa si avvicina, quindi, per il mondo imprenditoriale. In conclusione, far ammorbidire le condizioni negoziali del Cremlino (intatte dal novembre 2021 e inaccettabili per uno Stato sovrano) è uno degli scopi dell’azione di Kiev. Le prossime settimane ci diranno se Zelensky ha avuto ragione.

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