L'Editoriale / Valle Brembana
Martedì 24 Agosto 2021
Se la multa punisce
la democrazia
Esattamente due secoli fa, nei Lineamenti di filosofia del diritto, Hegel affermava che negli Stati di diritto la riflessione sui fondamenti della giustizia della e nella amministrazione è lo specchio del nesso tra detentori della sovranità e soggetti che ne assicurano la traduzione in attività. La distinzione tra legislazione, amministrazione e giurisdizione è il frutto di un processo storico e delle trasformazioni politico/sociali avvenute nel XX secolo. Processo non lineare nel quale le spinte innovative hanno dovuto spesso fare i conti con resistenze e pregiudizi. Uno dei versanti più delicati ha riguardato (e riguarda tuttora) i rapporti tra la funzione legislativa e quella giudiziaria.
Il 7 agosto scorso in Val Brembana alcuni sindaci hanno aderito alla manifestazione per protestare contro il depotenziamento dell’ospedale di San Giovanni Bianco. I sindaci avevano aderito alla protesta dopo aver più volte sollecitato - a loro dire senza esito - ospedale e Regione risolvere il problema. Quei primi cittadini sono stati sanzionati per aver interrotto il traffico sulla statale 470 della valle. Nell’occasione l’azione della magistratura è stata fulminea: i sindaci sono stati multati per blocco del traffico e rischiano una sanzione da mille a quattromila euro. La partecipazione alla protesta insieme al comitato – per dare una veste istituzionale alla manifestazione – ha finito per costituire un’aggravante. Appare chiaro che nella vicenda si incrociano e, in qualche misura, si contrappongono due elementi: il principio di legalità e quello di ragionevolezza.
Di primo acchito è fin troppo semplice concludere che la legalità, essendo il fondamento – e insieme anche il presupposto – degli ordinamenti democratici, debba in linea teorica prevalere sugli altri. Un illustre giurista affermava, vent’anni orsono, che «il più importante dei principi costituzionali sull’attività amministrativa è il principio di legalità». Nel contempo, però, occorrerebbe tener conto della peculiarità di ogni singolo evento che possa costituire reato. Nel caso specifico si è trattato di un’azione di appoggio ad una legittima richiesta degli abitanti.
Quanto accaduto in Val Brembana ripropone l’antico dilemma tra legge e giustizia. Dalla notte dei tempi, come dimostrato dalle tragedie greche, non sempre la legalità è sinonimo di giustizia. Al contrario, la legge finisce a volte per trasformarsi in un simulacro. Una entità sorda e cieca, che viene amministrata senza tener conto della sostanza dei problemi e degli eventi. Il fondamentale principio della certezza del diritto (cardine degli ordinamenti moderni) si è tramutato spesso in un groviglio fittissimo di prescrizioni legislative che - essendo, per loro natura, di difficile modifica – producono una tendenziale paralisi operativa delle amministrazioni pubbliche.
Lo iato tra principi degli Stati di diritto (in primis la legalità) e equilibrio dei poteri incrina la richiesta di giustizia da parte della collettività e finisce per inficiare la credibilità di chi le norme deve farle osservare. Scarto che – per altri versi – identifica lo scollamento tra diritto e giustizia, tra ruolo di garanzia che le istituzioni hanno (dovrebbero sempre avere) e concreto dispiegarsi del loro operato. In tale contesto alla magistratura si richiede, in primo luogo, una capacità di giudizio che non faccia prevalere l’aspetto formalistico delle leggi, ma riesca a valutare con flessibilità di giudizio le scelte da compiere. La legittimazione dei governanti e del governare, la legalità come fondamento delle democrazie, la giustizia come presidio dei diritti e dei doveri sono il prodotto dell’equilibrio tra i poteri. Allorché tale equilibrio si incrina - o, peggio, si spezza – vengono a mancare i presupposti della democrazia.
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