Se il virus investe
gli Stati poveri

La rivista scientifica «The Lancet» ha lanciato l’allarme: la prossima ondata di coronavirus si abbatterà su Africa e America Latina, continenti nei quali il sistema sanitario è molto fragile, con poche decine o centinaia di ventilatori polmonari e molti ospedali privi delle terapie di base, come l’ossigeno. I più colpiti, in luoghi dove le disparità economiche sono smaccate, saranno gli strati più poveri della popolazione. In Italia si era temuto che la pandemia sarebbe stata portata dagli africani che arrivano sulle nostre coste – dove peraltro vige un rigido sistema di controlli della salute – e invece il paziente zero in Africa è un italiano sbarcato il 28 febbraio scorso a Lagos, in Nigeria.

Finora gli Stati colpiti dal Covid-19 sono 46 su 54, per un toltale di 4 mila contagi, 117 le vittime. «Ma i numeri ufficiali potrebbero sottovalutare la reale estensione dell’epidemia» ha detto l’etiope Tedros Ghebreyesus, direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), la stessa che ha già stanziato 70 milioni di dollari per l’emergenza coronavirus.

Alcuni governi hanno sottovalutato i rischi ma ora, sulla scorta di quanto successo in Europa, hanno adottato provvedimenti restrittivi di circolazione della popolazione, in particolare in città come Lagos, 20 milioni di abitanti, la gran parte ammassati in sterminate baraccopoli. A preoccupare è la rapidità con la quale il virus si sta espandendo – i casi crescono del 22% al giorno - nonostante il 65% della popolazione continentale abbia meno di 20 anni e solo il 3% più di 65. Tra i fattori che si ritiene possano frenare i contagi ci sono poi la barriera climatica del caldo e un sistema immunitario diverso tra gli africani e gli europei, capace di sopportare meglio alcune malattie e meno altre. Infatti gran parte dei contagi sono «importati» da stranieri o locali che hanno viaggiato fuori dal continente. Gli Stati più colpiti finora sono Sudafrica, Egitto, Algeria e Marocco. Degli altri non si hanno però conteggi accurati.

Il continente affronta malattie endemiche: ogni anno 400 mila persone muoiono di malaria, ci sono milioni di sieropositivi da Hiv e altre migliaia affette da tubercolosi, mentre tra il 2013 e il 2014 l’Ebola ha ucciso 11 mila africani. Queste catastrofi sono state affrontate con il supporto di organizzazioni non governative straniere, nell’ambito di un sistema sanitario con un posto letto in ospedale ogni 5 mila residenti (10-15 volte in meno dei Paesi europei). La Nigeria ad esempio ha due medici ogni 10 mila abitanti, a fronte dell’Italia che ne dispone di 41 ancora ogni 10 mila: eppure nel contrastato alla pandemia siamo andati in crisi. Diversi villaggi africani poi non hanno nemmeno l’acqua a disposizione: il Covid-19 troverebbe vita facile a diffondersi dove le condizioni igieniche sono precarie.

Il rischio di esplosione della pandemia arriva inoltre in un periodo economico difficilissimo per l’Africa, in seguito al crollo dei prezzi petroliferi che erode risorse ai Paesi esportatori di idrocarburi come la Nigeria. I diffusi investimenti cinesi, proprio in seguito al coronavirus che ha invaso il gigante asiatico, sono crollati negli ultimi tre mesi. Le stime di crescita del Pil per il 2020 sono passate dal 3,2% all’1,8%. In un rapporto pubblicato martedì scorso dal Programma di sviluppo dell’Onu si rimarca come il colpo socioeconomico della pandemia sui Paesi in via di sviluppo sarà tale da richiedere anni per una ripresa: nell’intero continente africano si potrebbe perdere la metà dei posti di lavoro.

Ma la bestia del virus è riuscita a colpire ad altre latitudini anche la martoriata Siria, entrata nel decimo anno di guerra con un bilancio terrificante: almeno 500 mila morti di cui 9 mila bambini, 11 milioni di persone che hanno abbandonato le loro case tra profughi all’estero (5 milioni e mezzo) e sfollati interni (6 milioni), 5 milioni di ragazzini che hanno conosciuto solo il conflitto e 2,8 milioni che non sono mai andati a scuola. Il coronavirus ha già fatto vittime, in territori dove oltre metà degli ospedali sono stati distrutti. Il governo di Damasco ha rinviato di un mese le elezioni legislative, previste per il prossimo 13 aprile.

Ma anche Gaza e Yemen, altre aree di conflitti, sono state intaccate dal Covid-19. Insieme alla Siria, dispongono di meno di 730 ventilatori polmonari e hanno 950 posti in terapia intensiva, per oltre 15 milioni di persone. La pandemia va battuta anche per chi già agonizza per altri mali.

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