Se dal G20 a Glasgow è in gioco la democrazia

A Glasgow alla conferenza Onu sul clima i capi dei governi dell’Occidente avanzato e postindustriale sono tutti concordi. Stop al riscaldamento climatico. Ma sono una minoranza. Il consumo di carbone è l’indice di misura. La Cina ha le emissioni maggiori. Sono 88mila Terajoule (l’unità di misura per il consumo di carbone), l’India è a quota 17, gli Usa a 9 e l’UE a 6 TJ. Fonti Iea Bloomberg. Una sfida impari. Senza Pechino non si va da nessuna parte. Non finanziare le centrali a carbone a partire dal 2021 è già una vittoria. Un punto fermo del G20 di Roma. Ma il solo. Il vertice dei capi di Stato produttori dell’80% del pil mondiale ha trovato al G20 di Roma l’accordo sul tetto massimo di 1,5 gradi per il riscaldamento ma non ha indicato la data definitiva. Il comunicato finale indica «metà secolo». Per Russia e Cina vuol dire 2060. Per l’India forse il 2050. Ma non tutto è perduto.

L’impegno della comunità internazionale a garantire 100 miliardi all’anno per il sostegno ai Paesi in via di sviluppo nella transizione energetica è una conquista. Molti Stati che ora si sono affacciati al benessere, o ne colgono la possibilità, considerano ingiusto dover ricominciare daccapo con nuove tecnologie e modelli di sviluppo che li priverebbero per esempio del vantaggio delle miniere di carbone, di giacimenti petroliferi, di grandi estensioni di verde da utilizzare come legname, cioè quello che ha fatto grande l’Occidente negli ultimi due secoli. Adesso che finalmente stanno per approdare alla meta devono fare un passo indietro con l’obbligo, e qui sta la beffa, di dover passare alle fonti di energia rinnovabile senza averne la dotazione tecnico-scientifica. Un ricatto manifesto per chi deve comprare gli strumenti e le apparecchiature necessarie. Non solo deve rinunciare alla produzione ma aumentare gli oneri di investimento con una maggiore dipendenza dai Paesi dai quali ci si voleva finalmente emancipare.

Ecco il motivo per il quale il governo italiano ha triplicato a 1,4 miliardi di euro l’impegno finanziario italiano per i prossimi 5 anni a favore del fondo green internazionale sul clima. È un biglietto da visita che ben dispone verso quei Paesi colpiti dalla povertà e dai quali vengono le ondate migratorie. Un tema sentito da Italia e Francia che vivono le contiguità del mondo mediterraneo e ne vedono anche i pericoli. Sia Roma che Parigi volevano portare a 150 miliardi all’anno l’aiuto finanziario. Non sono riusciti a convincere i partner. E tuttavia il segno rimane. In questo G20 di Roma per la prima volta la dimensione economica si è fatta carico della questione ambientale e sociale. Si definisce la fine dell’economicismo e si apre la strada all’equità. Non senza spine. La rivoluzione energetica e tecnologica muta gli equilibri globali. Chi riesce per primo ad essere autosufficiente gode di una posizione di vantaggio, chi invece perde il treno rimane indietro. Per questi ultimi la dipendenza dalla benevolenza altrui avrà dei costi non solo economici. Se guardiamo al prodotto interno lordo a parità di potere d’ acquisto scopriamo che la Cina dispone al 2020 di 24,1 e gli Stati Uniti di 20,9 bilioni di dollari. Dati Fmi. La proiezione al 2050 porta gli Usa a 34,1 e la Cina a quasi il doppio, 58,5 bilioni di dollari. E questo spiega la reazione degli Stati Uniti. Joe Biden a Roma e a Glasgow tesse la tela del fronte democratico. Il messaggio è chiaro: le grandi potenze non bastano più a se stesse. Il multilateralismo diventa una necessità per poter trovare un accordo. Il pianeta ha speranza di salvarsi solo se tutti tirano dalla stessa parte. Ecco perché la questione climatica è lotta per la democrazia. Il messaggio del G20 di Roma e il grido di dolore di Glasgow sono anche questo.

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