L'Editoriale
Sabato 18 Gennaio 2025
Santanchè non lascia: no di Meloni al rimpasto, un garbuglio rischioso
Il caso Santanchè può anche mettere in imbarazzo Giorgia Meloni ma allo stato non si vede come possa portare alle dimissioni del ministro. La responsabile del dicastero del Turismo è stata rinviata a giudizio per falso in bilancio a proposito della società «Visibilia» di cui è stata fondatrice e amministratrice unica.
Il processo si terrà a partire dal 20 marzo, Santanchè rischia una pena che va da tre a otto anni. Insieme a lei sono stati rinviati a giudizio il compagno e la sorella. Nella sostanza si presentavano bilanci truccati delle varie società del gruppo «Visibilia» (una delle quali quotata in Borsa) per coprire le perdite e rimanere in piedi: accuse evidentemente pesanti per un ministro. Ma Santanchè non ha alcuna intenzione di dimettersi: «Io non mollo» fa riferire ai suoi addetti stampa. Tutti hanno notato che per l’intera giornata, dopo la notizia del rinvio a giudizio, Fratelli d’Italia, il suo partito, sia rimasto quasi silenzioso: l’unico a parlare è stato l’europarlamentare Carlo Fidanza che, rimandando ovviamente la parola definitiva a Meloni, diceva che «ci sono dei profili che lasciano perplessi». Come difesa, è apparsa non solo solitaria ma anche freddina. Solo la Lega rilasciava una nota ufficiale per dire che «Santanchè ha tutta la nostra fiducia». Sostegno arrivava anche da altri esponenti di centrodestra ma di secondo piano. Una prudentissima Licia Ronzulli, di Forza Italia, ribadendo di essere «garantista», ricordava che si è innocenti fino al terzo grado di giudizio.
Viceversa tutta l’opposizione, da Schlein a Conte, da Fratoianni a Bonelli, faceva pressione su Palazzo Chigi perché facesse dimettere la ministra ricordando a Meloni che quando era all’opposizione chiedeva le dimissioni di ministri per molto meno (come il mini abuso edilizio nella palestra della responsabile dello Sport, Josefa Idem del Pd).
«A Daniela Santanchè la mia inalterata stima e fiducia»
Il silenzio della premier è stato però indirettamente rotto solo in tarda serata, dopo i telegiornali. Il compito di parlare è toccato al coordinatore della segreteria nazionale di FdI Edmondo Cirielli: «A Daniela Santanchè la mia inalterata stima e fiducia» ha detto con corollario di attacco alla «sinistra giustizialista» che condanna «con giudizi sommari» mentre «difende la presidente della Regione Sardegna e il presidente della provincia di Salerno in custodia cautelare da tre mesi». Ma, a parte le espressioni dovute alla doverosa propaganda, se Cirielli ha parlato vuol dire che Meloni non vuole almeno per ora che la Santanchè si dimetta. Si va avanti, almeno fino alla sentenza di primo grado. Perché? Per una ragione molto semplice: perché se saltasse il ministro del Turismo molto probabilmente partirebbe la giostra di un possibile rimpasto chiesto dagli alleati e che Meloni non vuole assolutamente affrontare. Non ha tutti i torti: si ritroverebbe davanti la richiesta di Matteo Salvini di lasciare il tribolato ministero dei Trasporti (che gli costa una polemica al giorno per i ritardi e i guasti della rete ferroviaria) per traslocare al ministero dell’Interno a combattere per le cause che gli portano più voti: immigrazione clandestina, norme per la sicurezza, ecc. Ma Meloni lo ha già ripetuto più volte: al Viminale deve restare il prefetto Piantedosi, «un ottimo ministro» e «non sono all’ordine del giorno dei cambi di nessun genere».
I problemi politici
Del resto, se Salvini ottenesse un ministero di prima classe come l’Interno, c’è da giurare che Tajani, il cui partito ha superato i voti della Lega, pretenderebbe una compensazione… Insomma sarebbe un garbuglio che Meloni non ha alcuna voglia di dirimere, con tutte le grane che ci sono in Italia e intorno a noi.
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