Santa Sofia ora moschea. Sfida al limite di Erdogan tra Occidente e Oriente

Occidente, abbiamo un problema. Il ritorno della basilica di Santa Sofia al culto islamico (oggi viene celebrata la prima preghiera dopo 86 anni come museo) è solo l’ultima in ordine cronologico delle questioni aperte con Ankara. La scelta clamorosa, che riconverte in moschea uno dei maggiori simboli della cristianità d’Oriente e della convivenza pacifica tra le fedi religiose, è avvenuta a pochi giorni dal 15 luglio, quarto anniversario del fallito golpe contro Recep Tayyip Erdogan. Quel giorno il presidente turco, secondo influenti analisti, è diventato il «gran Sultano» e la sua politica estera è entrata in rotta di collisione con quella europea e statunitense.

A salvarlo nell’estate 2016 fu una telefonata inattesa del collega russo Putin, col quale da mesi Erdogan litigava in Siria, che lo avvertiva del putsch militare ispirato da oltreoceano. Seguirono un anno di purghe interne con decine di migliaia di licenziati nell’apparato statale. Dura è stata la mano contro l’opposizione. Furono chiuse università, fondazioni, organizzazioni culturali.

Da allora il lungo percorso di adesione della Turchia all’Unione europea si è fermato e la stessa Nato si è trovata un’imprevista patata bollente tra le mani, ad iniziare dalla gestione della base di Incirlik, dove sono dislocate armi di primaria importanza. Con Bruxelles il nodo dei migranti, accolti a suon di miliardi di euro a spese dei contribuenti Ue, e con Washington quello dell’acquisto dei sistemi missilistici russi di difesa anti-aerea S-400 hanno esacerbato le incomprensioni.

Irritazione in seno all’Alleanza atlantica ha anche provocato il capitolo Libia, dove Erdogan ha appoggiato con le armi in pugno il governo di Tripoli, mentre la Francia era schierata con Haftar in Cirenaica. Ad un certo punto due membri della Nato hanno rischiato di spararsi addosso. La situazione nel Mediterraneo orientale si è complicata da quando sono stati trovati giacimenti marini di idrocarburi attorno a Cipro. Forti della presenza, non riconosciuta dalla comunità internazionale, nel Nord dell’isola i turchi hanno intrapreso azioni unilaterali, come nel gennaio scorso, quando una loro nave, la Yavuz, ha perforato il «blocco 8», dato in concessione all’italiana Eni ed alla francese Total.

Insomma, col passare del tempo le incomprensioni si sommano; le relazioni da cattive stanno diventando pessime. E non è che Erdogan, vistosi isolato ad Ovest, abbia cambiato alleanze. Con il Cremlino si osservano accordi muscolari, ma poca fiducia reciproca causa possibili confronti in Asia centrale ex sovietica: in Siria i due Paesi - Putin sta con i governativi di Bashar al-Assad, odiato dal presidente turco - hanno raggiunto un’intesa, che ha, per ora, portato la tregua nella regione di Idlib; in Libia militari turchi e mercenari «privati» russi sono arrivati a combattersi su fronti opposti.

Adesso la Chiesa ortodossa russa è furiosa per le decisioni adottate su Santa Sofia - monumento alla storia dell’umanità affacciata sul Bosforo - dal 1934 convertita in museo da Kemal Ataturk. In precedenza essa era stata per oltre mille anni tempio centrale della cristianità, poi per 480 anni moschea. Solo se si passeggia all’interno si può comprendere la sua grandiosità con elementi cattolici, ortodossi ed islamici. I suoi pavimenti di marmo policromatici e i suoi mosaici la rendono unica. La sfida odierna di Erdogan è di non perdere l’eredità europea e nazionalista di Ataturk ma mantenere anche insieme il composito mondo musulmano. Davvero un’impresa ardua pure per un Sultano.

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