Salvini, i giudici
e la fronda interna

A Catania è andato in scena il primo atto di una vicenda giudiziaria che si annuncia piuttosto lunga e complessa, dai risvolti politici non preventivabili. Si è infatti svolta l’udienza davanti al gup di Catania per Matteo Salvini, accusato di sequestro di persona aggravato per aver impedito nel luglio 2019 lo sbarco di circa 130 immigrati che si trovavano a bordo della nave Gregoretti. Se la procura, come previsto, ha chiesto il non luogo a procedere, il Gup ha disposto un rinvio al 20 novembre dell’udienza preliminare con l’audizione di Conte, Toninelli, Trenta e Lamorgese. E già questo ci dice che la passerella mediatica che a metà novembre si esibirà nella città etnea alimenterà lo scontro politico su un tema irrisolto: il fatto cioè che la politica migratoria venga ancora oggi regolata sulla base dei decreti che portano la firma dell’ex ministro dell’Interno ora accusato e che l’attuale maggioranza giallo-rossa, di rinvio in rinvio, non riesce né a modificare né tantomeno ad abolire.

E il paradosso è che quello stesso ministro si trova a doversi difendere davanti ad un Tribunale della Repubblica per aver applicato l’orientamento politico di cui i «decreti Salvini» sono l’espressione legislativa. Un vero testacoda politico, giuridico e istituzionale. È evidente che quando si entrerà nel vivo con le deposizioni di presidente del Consiglio e ministri passati e presenti, si tornerà a discutere del tema più caro alla destra di opposizione: i migranti. E questo sarà per Salvini un oggettivo vantaggio che potrà trasformare il suo attuale inciampo in una opportunità politica.

In tutti questi mesi di Covid l’argomento «migranti» è andato abbastanza in subordine, e in ogni caso non ha fatto più la parte del leone nello scontro politico: per Salvini, che alla lotta all’immigrazione clandestina ha affidato gran parte delle fortune politiche della Lega, questo è stato un danno che, insieme a molti altri fattori, ha contribuito al suo indebolimento. Se se ne riparla, lui non può che giovarsene. Tantopiù che proprio intorno alla sua accusa si ricompatta un centrodestra mai tanto diviso come ora dopo le elezioni regionali che tra mancate vittorie e autentiche sconfitte hanno contribuito ad amareggiare i rapporti tra leader e partiti. E invece ora sui social possiamo vedere la foto di Salvini con Meloni e Tajani che, appositamente giunti a Catania, solidarizzano con l’alleato.

In quella coalizione è in corso ormai una lotta per la leadership che la diminuzione elettorale della Lega e il rafforzamento di Fratelli d’Italia e di Giorgia Meloni sta rendendo via via sempre più acuta. Eppure proprio la solidarietà dei tre capi partito contro «la giustizia che vuole decidere la politica nazionale» e contro «i procuratori che si vogliono sostituire a ministri che fanno ciò per cui sono stati votati da milioni di elettori» in qualche modo mette tra parentesi questa gara per la leadership scattata dopo il voto del 20 e 21 settembre. Conclusione: Salvini attraverso le vicissitudini giudiziarie nei confronti dei suoi alleati potrebbe anche rafforzarsi.

Se però si guarda la faccenda dal punto di vista interno alla Lega, lo scenario potrebbe cambiare considerevolmente.

Ormai è chiaro che il segretario sta subendo l’offensiva di una fronda che va da Giancarlo Giorgetti al governatore del Veneto Zaia e che punta decisamente a correggere la rotta impressa al partito da Salvini: «Se non viriamo al centro rischiamo di sbriciolarci», è stato l’ultimo ammonimento di Giorgetti, ex braccio destro a Palazzo Chigi del Salvini nella sua fase più vittoriosa. Ora questa fronda deve decidere quale atteggiamento assumere nei confronti di un leader che non è escluso che, dovendo subire un lungo iter giudiziario, sarà costretto ad allentare la presa sul partito, sull’elettorato e sulle piazze.

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