Salita infinita
Vetta meravigliosa

Doveva essere così, non poteva che essere così. Sudata, sofferta, così difficile da sembrare impossibile. Non sarebbe, non saremmo l’Atalanta, se non fosse così. Ma l’Atalanta di quest’anno poteva e doveva essere più forte anche di quest’ultima notte da infarto, di quest’ultima rimonta da fare per strappare la vetta più alta della sua storia. Non si arriva in cima senza fatica, e dopo una salita così l’ultimo passo è il più faticoso, il più pericoloso.

Leviamoci subito il problema: il Sassuolo. C’era chi se l’aspettava morbido, svuotato di motivazioni. Quasi lì lì per regalare la partita all’Atalanta. Non è stato così, e meno male. Ma lo abbiamo trovato indemoniato, e questo ha scatenato i sospetti: perché? Beh, non lo sappiamo. Non sappiamo se non abbiano digerito i sei gol dell’andata, se l’allenatore De Zerbi, bresciano e dunque notoriamente abbastanza antiatalantino, abbia caricato a molla la sua squadra. Non lo sappiamo.

La certezza è che delle due la squadra che pareva sull’orlo della Champions era il Sassuolo. Ma i sospetti si sciolgono di fronte ai fatti: è Berardi ad aver spianato la strada all’Atalanta, con quella reazione isterica (tipica del soggetto) che l’ha portato all’espulsione. Dopo il riposo non è più stata la stessa partita, tutto il resto sono chiacchiere, dietrologie, persino un po’ di vittimismo preventivo che qualcuno ha seminato in settimana, vedendo sospetti ovunque.

Ma conta niente, in fondo. L’Atalanta è stata più forte anche di questo. Non bella, disordinata, tremendamente tesa, forse anche sorpresa di fronte alla «cattiveria» agonistica del Sassuolo. La tensione era normale, dopo dieci mesi di stagione da decidersi in 90 minuti, dopo una serie di imprese che quest’ultima, al confronto, poteva essere una passeggiata. Ma non poteva esserlo, e «per fortuna» del calcio non lo è stata. Avevamo scritto: l’ultima impresa, poi arriviamo. E impresa è servita. Ma non solo Sassuolo: tutta la stagione è un’impresa, è un’impresa aver digerito la sconfitta di Copenaghen, è un’impresa essere ripartiti, è un’impresa questo girone di ritorno da prima in classifica con la panchina più corta di tutti, è un’impresa non aver subito infortuni, aver tenuti i muscoli tirati e la testa a posto. Aver preso una finale di Coppa, averla persa in quel modo e pochi giorni dopo andare a strappare un pareggio sul campo della Juventus. È un’impresa aver fatto risultato con tutte le più forti del campionato, per poi scoprire la spiegazione: era l’Atalanta, una delle più forti del campionato. Sono parole che escono così, ragionamenti a caldo, con gli occhi lucidi e il cuore a mille.

Adesso, praticamente da stanotte, si dovrà voltare pagina, dall’alto di un terzo posto mai raggiunto prima, dall’alto soprattutto di una Champions League mai raggiunta prima, e che andrà onorata. Non sappiamo ancora se Gasperini resterà o no. Ogni giorno le voci si rincorrono, tra chi è certissimo della sua partenza, e chi non ci crederà finché non l’avrà visto sul treno per Roma. Ma la probabilità che la sua incredibile esperienza bergamasca finisca qui, e che Gasperini lasci a Bergamo il più bel regalo possibile, c’è. E’ concreta, e giorno dopo giorno ha preso consistenza, alimentata forse dal timore che sia vera. Vedremo, ma abbiamo una certezza: è questa società ad aver portato Gasperini a Bergamo, e ad avergli preso i giocatori che con lui sono arrivati fin qui. Sarà questa società, in caso, a decidere per il meglio, a trovare un sostituto che non fermi questo cammino, che lo evolva secondo le possibilità. Il presidente Percassi ha detto che «è scontato che Gasperini resterà». Speriamo. E di sicuro, chiunque sarà in panchina, lo sentiremo ancora dire che conta la salvezza. E non dimenticatelo mai, anche adesso che abbiamo le vertigini da terzo posto, anche adesso che ci risuona nelle orecchie quella magica musichetta: ha ragione lui. E proprio per questo, we are the Champions.

© RIPRODUZIONE RISERVATA